Non so se gli insegnamenti arrivino direttamente dalla Casaleggio e Associati, ma debbo ammettere che i grillini hanno imparato molto bene la lezione: il migliore modo per gestire il Paese è innescare la polemica attorno ad una vicenda, sollevare un gran polverone e poi, magari, innestare la marcia indietro facendo, così, anche la figura dei vincitori. In estate - tra «niet» della prim'ora, decisioni irrevocabili subito revocate e repentine marce indietro - l'agenda di Di Maio & C. è, in effetti, ricca di esempi. L'ultimo è piuttosto clamoroso. Tutto è cominciato con la bocciatura del governo gialloverde alle Olimpiadi 2026 in Italia lungo il triangolo Torino-Milano- Cortina. A forzare la mano erano stati i Cinquestelle che, a dispetto del loro nome, non hanno evidentemente un buon «feeling» con i cinque cerchi considerando il precedente del sindaco Raggi a Roma. Stavolta in difficoltà si trovava la collega torinese Appendino che, per avere invece sposato la causa olimpica, ha quasi rischiato di essere appesa sulla Mole Antonelliana dai compagni di partito. Ma, spesso e volentieri, i secchi «no» in casa grillina possono anche diventare tanti «ni». E così, dopo la decisione di Milano e di Cortina di andare avanti ugualmente senza il placet statale, Toninelli - che già si era distinto per i suoi categorici j'accuse, con repentini dietrofront, all'indomani del crollo del ponte Morandi di Genova ha rilanciato la candidatura di Torino anche se è stato subito stoppato dal leghista Giorgetti. Di più: il ministro per le Infrastrutture ha sostenuto che le Olimpiadi dovranno svolgersi solo in Piemonte perché la strada del matrimonio a tre con le altre due città in lizza è difficilmente percorribile. Insomma, tutto e il contrario di tutto.
Ma il tanto fumo e poco arrosto sta diventando la caratteristica principale di altri grillini. È il caso dello stesso Di Maio, un vero specialista nel dire una cosa e poi farne un'altra. L'esempio dell'Ilva di Taranto è piuttosto significativo: da quando si è insediato il governo gialloverde, il vicepremier aveva continuato a sostenere che l'accordo per la cessione agli indiani dello stabilimento siderurgico pugliese «non s'ha da fare». Tante dichiarazioni che parevano ultimative e che hanno messo in ebollizione una città intera. Poi come non detto: la cessione «s'ha da fare». E forse succederà la stessa cosa anche con la Tav che oggi, da veri masochisti, i Cinquestelle vorrebbero bloccare. Così come tante altre opere infrastrutturali in cantiere che, se dovessero essere davvero fermate, avrebbero un «effetto-boomerang» sulle casse dello Stato: addirittura qualcosa come una cinquantina di miliardi.
Ma Di Maio - e il dietrofront sarebbe positivo - potrebbe adesso dire di «sì» pure al condono fiscale anche se ha il fucile puntato di Fico. Mi chiedo: l'autunno porterà davvero consiglio dopo le tante «sparate» di mezz'estate?
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