Matteo Basile È morto per un incidente. Anzi no, è stato ucciso da criminali comuni. Scusate, ci siamo sbagliati: lo hanno ucciso dei rapinatori. Dopo balle, montature, ipotesi strampalate e incongruenze macroscopiche, finalmente anche in Egitto sembra sbriciolarsi il muro di gomma costruito attorno alla tragica fine di Giulio Regeni. Il ricercatore dell'università di Cambridge è stato rapito lo scorso 25 gennaio e trovato cadavere il 3 febbraio. Da subito le autorità egiziane hanno garantito, a parole, massima collaborazione all'Italia ed espresso volontà di fare giustizia, salvo poi dare vita ad un assurdo e patetico teatrino. Ora arriva la conferma, seppur non ufficiale: Regeni era sotto attenzione da parte dei servizi egiziani che stavano indagando sul ricercatore italiano. Lo scrive il quotidiano egiziano Al-Akhbar, citando fonti della sicurezza del Cairo. Una svolta, seppur parziale, che se confermata potrebbe finalmente portare un po' di verità, come richiesto disperatamente dalla famiglia Regeni e anche dal governo italiano. Se confermata, appunto, perché questi due mesi hanno evidenziato quanto poco attendibili siano state finora tutte le notizie e le «soffiate» arrivate dall'Egitto. Nonostante i fatti si scontrino palesemente con quanto raccontato. A partire dai segni delle tremende torture sul corpo di Giulio non lasciavano molto spazio alle ipotesi formulate dal Cairo. Botte, fratture multiple, orribili sevizie che hanno reso quasi impossibile l'identificazione del corpo alla stessa madre. Un'evidente «opera» di professionisti facenti parte di qualche squadra o squadraccia filogovernativa e pseudoaccreditata che pensava di ottenere chissà quali informazioni dal ragazzo, vicino ad alcuni rappresentanti delle opposizioni invise al regime di Al Sisi. Una svolta, perché finora la collaborazione egiziana sul caso è stata solo di facciata e anche il lavoro del pool di investigatori italiani inviati in Nord Africa è stata una corsa a ostacoli tra depistaggi e informazioni filtrate e parziali. Per martedì è atteso sulla scrivania del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone un «esaustivo dossier» da parte delle autorità egiziane che dovrebbe, appunto, contenere anche i risultati delle indagini segrete e fin qui mai confermate, riguardanti l'attività di Regeni al Cairo. Tra i documenti, secondo il giornale egiziano, ci sarebbero «informazioni importanti» comprese «foto, attività compiute e indagini dal suo arrivo al Cairo fino alla sua scomparsa» con tanto di «rapporti sugli incontri segreti con i lavoratori e i responsabili di alcuni sindacati sui quali conduceva ricerche e studi» il che confermerebbe quanto Regeni fosse nel mirino dei servizi egiziani. Alcuni episodi nei suoi ultimi mesi al Cairo del resto sono molto espliciti col senno di poi. Regeni in dicembre intervennne durante un'assemblea sindacale e raccontò agli amici di essere stato fotografato da uno sconosciuto. Evidentemente qualcuno che lo teneva d'occhio tanto che agli amici confessò di non sentirsi tranquillo. Martedì saranno consegnati anche gli effetti personali di Giulio fatti comparire come per magia all'interno di un covo di rapinatori che la polizia egiziana, dopo aver ucciso, ha cercato di incolpare per l'omicidio. Senza spiegare perché li avessero conservati, quando ogni ladro cercherebbe di disfarsi delle prove collegate a un omicidio e senza giustificare in alcun modo le torture subite dal ricercatore, naturalmente del tutto incompatibili con la messa in scena della semplice rapina.
In attesa del materiale in arrivo dall'Egitto, la procura romana continua le indagini sui propri binari nella speranza di ottenere anche i tabulati telefonici di Regeni e magari avere perfino il cellulare del giovane, fino a questo momento mai trovato, le cui tracce potrebbe rivelarsi decisive per trovare la verità. Una verità possibile solo con la piena e reale collaborazione dell'Egitto, che sarebbe quindi costretto ad ammettere di entrarci eccome con l'uccisione di Giulio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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