Roberto Fabbri
La Casa Bianca avrebbe le prove che l'attacco chimico che ha fatto strage di donne e bambini nel villaggio siriano di Khan Sheikun è stato lanciato dall'aviazione di Bashar el Assad. Lo ha affermato ieri sera l'emittente televisiva americana Nbc. Bradd Jaffy, news editor del network Usa, ha scritto su Twitter che un aereo di Damasco è stato inquadrato dai radar militari statunitensi mentre lanciava «armi chimiche» sul villaggio. Subito dopo, sostiene il giornalista, tra la popolazione è stata osservata una reazione «compatibile con quella scatenata da un agente nervino».
Se queste affermazioni fossero documentate, si tratterebbe di una clamorosa smentita della versione diffusa da Damasco e sostenuta da Mosca, secondo cui non c'è stato alcun attacco con armi chimiche, bensì l'esplosione sotto le bombe di un aereo siriano di un deposito dei ribelli che ne contenevano.
Il braccio di ferro in stile guerra fredda che da martedì divide la Russia e il suo alleato siriano dagli Stati Uniti e quasi tutto il resto del mondo verte proprio sulla responsabilità della strage di Khan Sheikun, il cui bilancio è frattanto ufficialmente (e provvisoriamente) salito a 86 morti, in maggioranza donne e bambini. Alle Nazioni Unite, Washington ieri spingeva per un voto entro la serata in Consiglio di Sicurezza sulla mozione di condanna della strage stilata dai rappresentanti americani, britannici e francesi. Una mozione che, indicando in Assad il colpevole, vedrebbe certamente Mosca porre il suo veto in difesa del prezioso alleato mediorientale. Così facendo, però, Putin certificherebbe il proprio isolamento internazionale, e si verrebbe a trovare in una classica situazione da guerra fredda, di quelle in cui dalle labbra del mitico ministro degli Esteri Andrei Gromiko usciva secca la parola niet.
Il voto in Consiglio di Sicurezza è l'approdo inevitabile di un'altra giornata in cui i toni degli accusatori di Assad non hanno fatto che alzarsi, con Israele che assicura «al cento per cento» che l'ordine dell'attacco chimico è venuto da Assad e il presidente turco Erdogan che dà al raìs siriano del massacratore di bambini musulmani. È stato però Trump a fare la mossa più pesante, incontrando prima di partire per la Florida per il faccia a faccia con il leader cinese Xi Jinping i vertici del Pentagono per valutare con loro la praticabilità di un'azione militare contro Assad, alla quale già aveva alluso il giorno prima al Palazzo di Vetro l'ambasciatrice americana Nikki Haley. Sul tavolo, secondo fonti Cnn, l'ipotesi di bombardare ciò che resta (e che sulla carta non dovrebbe esistere) dell'arsenale chimico di Assad.
Paradossalmente, a trovarsi nella posizione più scomoda è ora proprio il presidente degli Stati Uniti. Quel Donald Trump che, inorridito dalla strage di bambini soffocati dal gas nervino in Siria, ha dichiarato che con quell'atto mostruoso «sono state varcate numerose linee rosse» (riferimento a quella che il suo predecessore Obama aveva indicato ad Assad salvo non muovere un dito quando quello la varcò) e minacciato di agire «anche da solo» contro il raìs stragista.
Adesso, Trump si ritrova - forse inconsapevolmente, stante la sua abitudine di alzare la voce prima di riflettere - in una situazione molto simile a quella di Obama e dovrà fare una scelta difficile: o andare fino in fondo contro Assad, coinvolgendo Washington nel conflitto siriano e rischiando una contrapposizione frontale con Mosca, oppure lasciare al suo posto il raìs mostrando una debolezza identica a quella rimproverata al suo predecessore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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