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Pa e Pnrr, passa la fiducia. Il Pd fa ostruzionismo ma finisce in tilt sulle armi

La fiducia sul decreto Pubblica amministrazione (inclusa la norma sugli ormai famosi "controlli concomitanti" della Corte dei Conti sul Pnrr) passa senza problemi alla Camera dei Deputati

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La fiducia sul decreto Pubblica amministrazione (inclusa la norma sugli ormai famosi «controlli concomitanti» della Corte dei Conti sul Pnrr) passa senza problemi alla Camera dei Deputati: 203 sì, 134 no.

Subito dopo, nell'aula di Montecitorio, si apre il lungo rito dell'ostruzionismo: visto che la fiducia ha blindato il testo e fatto decadere tutti gli emendamenti, le opposizioni hanno presentato una valanga di ordini del giorno (circa 150), e dal primo pomeriggio a notte alta i parlamentari di Pd e Cinque Stelle si susseguono al microfono per illustrarli e poi votarli. Nessuno o quasi viene approvato, alcuni vengono accolti dal governo come «raccomandazione» per accelerare la procedura, il risultato è che - come sempre, a prescindere dal colore dell'esecutivo - il testo del decreto resta immutato ma il voto finale slitta al giorno successivo, cioè oggi.

Elly Schlein, che al grido di «questo governo è allergico ai controlli» aveva proclamato la battaglia anti-decreto da combattere insieme ai grillini, si guarda bene dal partecipare al lungo rito dell'ostruzionismo: passa in mattinata all'assemblea del gruppo parlamentare che discute del prossimo decreto Lavoro, sparisce quando si comincia a parlare e votare sulle cariche interne (con cencelliana distribuzione dei posti di vice-capogruppo e segretari alle varie correnti), ricompare per votare in aula contro la fiducia, poi scompare di nuovo. Il suo predecessore Enrico Letta è disciplinatamente seduto sul proprio scranno e si sorbisce interventi e votazioni fino a sera inoltrata, lei ha sicuramente cose più urgenti da fare. Del resto neppure Giuseppe Conte si fa vedere.

Eppure proprio la costante rivalità tra i due e la confusa linea del «nuovo» Pd sull'appoggio all'Ucraina animerà uno dei pochi momenti di tensione politica, soprattutto nelle file dem: i grillini presentano un odg per dire che giammai i fondi del Pnrr dovranno essere «distratti» per finanziare «l'industria della difesa». Il Pd schleiniano, reduce dal pasticcio nel Parlamento europeo, dove si è diviso proprio su questo tema, vota a favore ma si agita al proprio interno: c'è Piero Fassino che riesce a intervenire in tarda serata, nonostante le resistenze degli schleiniani che volevano evitare di riaprire la scomoda questione. Per ore, il presidente di turno dell'aula Giorgio Mulè pilota il faticoso copione ostruzionista cercando di alleggerire la noia con qualche sprazzo di humour: il grillino Ricciardi urla «a darvi dei fascisti vi si fa un favore» alla maggioranza, lui chiosa: «Francamente mi pare tutto tranne che un complimento»

La dichiarazione di voto sulla fiducia, per conto del Pd, è affidata alla neo-vice capogruppo Simona Bonafè: «Avete usato questo decreto come cavallo di Troia per mettere il bavaglio a chi vi richiama alla responsabilità. Agitate il caprio espiatorio per nascondere la vostra incapacità». Per +Europa è Benedetto Della Vedova a ricordare alla maggioranza le proprie contraddizioni: «Nella scorsa legislatura proprio voi, in prima linea il sottosegretario Fazzolari, a chiedere con una proposta di legge di attribuire alla Corte dei Conti il controllo immediato e concomitante sul Pnrr. Perché ora avete cambiato idea?». Dalla maggioranza è Augusta Montaruli, di Fratelli d'Italia, a rinfacciare che le norme incriminate sul Corte dei Conti e scudo penale erano già state inserite «sia dal governo Conte che da quello di Mario Draghi: come mai allora non gridavate alla deriva autoritaria?». E ad accusare le opposizioni di «tifare per il fallimento del governo sul Pnrr, cosa che posso capire. Ma non è ammissibile che si tifi per il fallimento dell'Italia». Il grillino Carotenuto strilla che si vogliono impedire i controlli «nel paese di Mani Pulite e della mafia» e poi tuona contro il governo: «Da che parte state? É chiaro: da quella della famiglia Gentile, per cui state facendo porcate indicibili in Giunta elezioni!». Il presidente lo richiama all'ordine per il termine «poco consono», porcate, mentre i parlamentari presenti si guardano perplessi: Gentile chi? Si tratta di un candidato di Fi in Calabria che rischia di rubare il posto ad una deputata 5S se venisse attuato il riconteggio chiesto dal centrodestra. Ma nessuno capisce che c'entrino il Pnrr, la Corte dei Conti e la fiducia sul decreto Pubblica amministrazione.

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