"Parigi, Londra, Berlino. Ma per gli euro populisti l'unica chance è l'Italia"

Il politologo: "I tories vogliono intestarsi la Brexit. Il nuovo asse Ue sarà franco-tedesco"

"Parigi, Londra, Berlino. Ma per gli euro populisti l'unica chance è l'Italia"

È l'Italia la porta d'ingresso del populismo in Europa. Un paradosso che Vittorio Emanuele Parsi, politologo e professore universitario, prova a condensare in poche battute: «Nei prossimi mesi si voterà in Francia, Gran Bretagna, Germania. Saranno elezioni molto importanti per rifondare l'Europa ma non credo che segneranno la vittoria dei populisti. Ritengo invece che queste formazioni anti Europa e anti euro abbiano più chance l'anno prossimo, quando gli italiani andranno alle urne».

Cominciamo dalla Francia. Vincerà Marine Le Pen?

«No, penso di no. I sondaggi, gli ultimi almeno, non le sono così favorevoli».

E poi c'è il sistema di voto a doppio turno.

«Esatto. Al secondo round si formerà inevitabilmente una coalizione anti Le Pen, a sostegno dell'altro candidato».

Chi sarà il prossimo presidente dei francesi?

«Potrebbe essere Macron: di sinistra, ma non estremista, e saldamente ancorato all'Europa. Certo, la Brexit pone sul tappeto una questione delicatissima».

Quale?

«La riproposizione, aggiornata ai tempi, dell'asse franco-tedesco che poi è il cuore della Ue».

Che Europa prevede?

«A dispetto dei catastrofisti prevedo un continente rafforzato e non indebolito dal voto dei prossimi mesi».

A Berlino?

«Su questo versante Merkel e Schulz non sono così diversi. La coppia Macron-Schulz potrebbe dare uno scossone ai balbettii di Bruxelles. Ma anche le altre combinazioni, chiamiamole cosi, potrebbero andare bene. Rilanciare il rapporto fra Parigi e Berlino vuol dire avere un'Europa più forte. Più sociale».

In parole povere?

«Un'Europa capace di governare meglio il mercato. Che non vuol dire ingabbiare le imprese e la concorrenza, ma dare regole più precise a tutela dei soggetti più piccoli e deboli».

Intanto Londra se ne va.

«Con la mossa di anticipare le elezioni, il premier May gioca alla grande la carta dell'uscita dall'Europa».

Mette il cappello sulla Brexit?

«Di più, i conservatori vogliono diventare il partito della Brexit. Certo, fa impressione che in Inghilterra gli europeisti non abbiano più rappresentanza».

Questo movimento non è bilanciato dalla spinta di Scozia e Irlanda del Nord per rimanere nella Ue?

«Si tratta di realtà diverse. Gli inglesi pro Bruxelles in questo momento non hanno più voce».

Si vota nell'arco di pochi mesi nelle grandi capitali europee. In Italia dovremo aspettare l'anno prossimo?

«Renzi ha fatto una scarpa e una ciabatta».

Ovvero?

«Si è dimesso dopo la sconfitta referendaria».

Non doveva farlo?

«Al contrario. Avrebbe dovuto trarne le conseguenze fino in fondo».

Come?

«Bastava che portasse il Pd su una posizione di assoluta indisponibilità ad appoggiare qualunque governo e si sarebbe andati, con ogni probabilità, al voto».

Renzi era indebolito e non più in grado di dettare la linea ai suoi.

«Si possono fare tutte le valutazioni, ma quella era la strada».

Oggi?

«Oggi c'è un governo che fa il suo mestiere. Aspettiamo la fine della legislatura, ma intanto qualche considerazione sul populismo tricolore la dobbiamo fare».

Lei è preoccupato? (Il direttore dell'Aseri, l'alta scuola di economia e relazioni internazionali della Cattolica, allarga le braccia).

«L'Italia è il vero buco nero dell'Europa. Per almeno due ragioni».

La prima?

«Ci sono ben due partiti anti Europa: Lega e M5s. Non solo».

Che altro c'è?

«Renzi ha sdoganato un linguaggio becero antieuropeo, ha assorbito nei toni i tratti del populismo. Col risultato di rafforzare le pulsioni disgregatrici. Una colpa gravissima. Perché non è alzando la voce o simulando una falsa confidenza con i leader europei che si risolvono i problemi».

Che cosa succederà?

«I sondaggi, sempre più favorevoli al centrodestra, dovrebbero spingere Salvini a non rompere con il Cavaliere e a non tentare derive estremiste».

Grillo?

«Potrebbe pure vincere in solitudine. In questo momento è impossibile azzardare previsioni, anche se penso che alla fine da noi l'anima moderata prevarrà. Come in Olanda e in Austria. Come dappertutto, finora».

Perché?

«Intanto gli italiani sono più paurosi che audaci».

Sono conservatori?

«Sono proprietari di case. E qualcuno prima o poi spiegherà loro che l'uscita dall'euro farebbe crollare il mercato immobiliare e il valore delle abitazioni. Sarebbe un disastro, anzi un doppio cataclisma perché gli interessi sul debito salirebbero vertiginosamente. E questo annullerebbe i vantaggi provocati dalla svalutazione della lira a beneficio dell'export».

Crisi e malcontento possono capovolgere tutti i ragionamenti.

«Vero. Ma credo che alla fine gli elettori faranno due più due. Come sta succedendo anche negli altri Paesi».

Intanto, lo scenario internazionale si deteriora. Cosa c'è da aspettarsi dalla Turchia del Sultano Erdogan?

«Erdogan ha

vinto il referendum, ma ha perso consensi. Soprattutto nelle grandi città. Resta la dinamica di fondo: la Turchia è una bomba a orologeria. E l'Europa si deve confrontare con un partner che è diventato un nostro nemico».

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