Roma - Contrordine, compagni! Ora che non c'è più Matteo Renzi a Palazzo Chigi non è più necessaria che la pubblica amministrazione sia modellata a immagine e somiglianza dello statista di Rignano. E così dal decreto legislativo correttivo (in quanto emenda il testo parzialmente bocciato dalla Consulta) della riforma Madia in tema di partecipate pubbliche sparisce l'amministratore unico. «L'assemblea può decidere, con una delibera motivata, se la società sarà amministrata da un consiglio di amministrazione allargato, da tre o cinque membri», si legge nella bozza entrata ieri in pre-consiglio dei ministri. Se è vero che la norma renziana era criticabile perché imponeva di fatto la fedeltà al leader disperdendo esperienze e competenze, è altrettanto vero che questa innovazione rimette in sella i professionisti delle poltrone a livello locale. Il testo, infatti, escludeva già dall'inizio le partecipate pubbliche non quotate (come il Poligrafico, Anas, Invimit, Invitalia e le milanesi Expo e Arexpo) e quelle locali come le finanziarie regionali. Ora, di fatto, i paletti saranno molto più flessibili.
Ad esempio, per definire il piano degli esuberi derivante da eventuali razionalizzazioni si avrà tempo fino al 30 giugno 2017. Le cinque fasce per i compensi dei manager, sempre entro la soglia massima dei 240mila euro? Se ne occuperà, come previsto, un decreto attuativo del ministero dell'Economia, ma fino a quando non sarà terminata tutta la ricognizione, campa cavallo! E in ogni caso Regioni ed enti locali potranno adottare tali limiti stipendiali «previa intesa in Conferenza unificata», una procedura non proprio lampo. È stato, inoltre, specificato che la normativa non solo non sarà applicabile alle società che gestiscono fondi europei, ma anche a quelle che hanno come oggetto sociale esclusivo la realizzazione di progetti di ricerca finanziati dalle istituzioni dell'Unione europea. Se non è un «liberi tutti!», poco ci manca.
Certo, non è detto che alla fine questo ritorno in auge dell'ancien régime finisca con il prevalere, ma la sensazione che la vecchia casta burocratica abbia ripreso in mano le leve del comando è forte. Ad esempio, ieri nel pre-consiglio i decreti correttivi della riforma Madia sono arrivati «spacchettati». Ieri sono stati discussi quelli sulle partecipate, sui direttori Asl e sui furbetti del cartellino. Ritocchi marginali, ma significativi: per esempio, le aziende sanitarie locali avranno a disposizione un ampio novero di candidati tra i quali scegliere il dirigente (e non più uno ristretto a 3-5 nomi) e quindi la politica resterà padrona della sanità. Al decreto sui furbetti non è stato, invece, aggiunto lo sbandierato decalogo sui casi di licenziamento.
Il mondo che Matteo Renzi si era costruito sta crollando pezzo per pezzo. Ad esempio, il decreto Milleproroghe approvato ieri dal senato posticipa al 31 dicembre la lotteria dello scontrino, uno sconto fiscale estratto a sorte sulla base dei codici degli scontrini emessi pagando con carte di credito o di debito.
Era una norma anti-evasione per favorire la tracciabilità, ma se ne riparlerà dal 2018. Sempre ieri la Camera ha approvato il decreto Salvarisparmio, altra eredità negativa di quel renzismo che si nascose la crisi del Monte dei Paschi.
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