È lo scandalo delle uova. Ma anche delle torte, dei biscotti, della pasta, del pane. È lo scandalo dell'intera filiera della trasformazione alimentare che dagli allevamenti porta i gusci sugli scaffali dei supermercati e sulle nostre tavole sotto forma di altri prodotti, dalla maionese ai cereali, dalle creme ad alcuni condimenti fino ai gelati. La Coldiretti ha calcolato che solo da preparazioni a base di uova, gli italiani ne consumano in media 140 all'anno pro capite, che sommate a quelle assunte direttamente fanno 215 a testa per una media complessiva di circa quattro a settimana. Un fabbisogno per cui secondo l'associazione che da giorni è sulle barricate contro il pericolo dell'importazione «infetta», sarebbe sufficiente la sola produzione nazionale, che arriva a 12,9 miliardi di pezzi.
Ma sono proprio quei due terzi del totale di uova ingerite dagli italiani attraverso altri alimenti a preoccupare di più la Coldiretti dopo la scoperta della contaminazione da Fipronil che si è originata da Olanda e Belgio e che si è propagata ad altri 15 Paesi. Perché se l'origine dei singoli gusci è facilmente verificabile grazie ai codici che vi sono stampati sopra, il tragitto dei preparati non è così evidente. Così come non è calcolabile la quantità di prodotti effettivamente importati dall'estero che ne contengono tracce. Significa che alimenti venduti come paste o dolci realizzati all'estero con le uova non sono quantificabili, avverte l'associazione, mentre sappiamo che i derivati come tuorli freschi, essiccati o congelati che sono stati importati dai Paesi Bassi nei primi cinque mesi di quest'anno ammontano a 648mila chili. Per questo è necessario «togliere il segreto sulla destinazione finale di tutti i prodotti alimentari importati - afferma Coldiretti - rendendo finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall'estero. È importante fare chiarezza e garantire la qualità e sicurezza di quelle presenti sul mercato nazionale».
Il percorso dall'allevamento alla tavola diventa poi ancora più fumoso nel vortice delle triangolazioni commerciali tra i Paesi extra Ue: «I prodotti arrivano nell'Unione, diventano europei e poi vengono spediti da noi, tanto nessuno può sapere da dove arrivano le uova utilizzate. L'Italia non può certo chiudere gli occhi e fare finta di nulla: il consumatore deve poter scegliere anche in base alla sicurezza che un prodotto davvero italiano gli garantisce». E se il ministero della Salute ha escluso ogni rischio per l'Italia dopo il sequestro dell'unica partita «infetta» individuata negli ovoprodotti importati nel nostro Paesi da un'azienda francese, per essere certi della provenienza delle uova i consumatori possono fare riferimento all'indicazione di origine stampata su ogni guscio e sulla confezione. Qui è riportata la vera carta d'identità delle uova, composta oltre che dalla data di scadenza, anche da una serie numerica che racchiude informazioni sullo Stato, la provincia e il comune di produzione del prodotto, il tipo di allevamento, se biologico o meno, e il luogo in cui la gallina l'ha deposto. La sigla «IT» dopo la prima cifra è la certificazione dell'origine nazionale.
Non è sufficiente, secondo il vicepresidente di Coldiretti Ettore Pradnini: «È necessario migliorarne la visibilità, non sono più sufficienti quattro codici e una data sul guscio, bisogna scrivere chiaramente, anche sulle confezioni e sui cartoni, da dove arrivano e rendere riconoscibile ogni possibile informazione ai consumatori».
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