Roma - La resa dei conti nel Pd inizia stasera a tarda ora, con l'assemblea del gruppo democrat alla Camera che - alla presenza di Matteo Renzi- dovrà decidere la linea sulla legge elettorale.
A mettere di buon umore la minoranza Pd alle prese col premier schiacciasassi, ieri sera, è arrivato un sondaggio (Emg per il Tg La7) che annuncia clamorosi crolli per il Pd renziano (sarebbe al 35,3% con -1,5%) e vertiginose impennate per tutti gli altri partiti: +0,8% a Forza Italia, che avrebbe il 12,1%; +0,6% al Movimento Cinque Stelle; +0,3% alla Lega e persino un +0,1 all'Ncd di Angelino Alfano. Con un centrosinistra ancora saldamente in testa, al 40,5%, ma un centrodestra in risalita al 35,5%, e solo 5 punti di distacco.
La linea di Matteo Renzi resta però la stessa, checché dicano i sondaggi: l'Italicum, già passato attraverso due letture parlamentari e svariate modifiche, non si tocca più. E i deputati Pd, a cominciare dal loro capogruppo Roberto Speranza, devono decidere che fare: «E c'è poco da stare allegri: quella che qui dentro, nelle aule parlamentari, può essere presentata come una battaglia sulle regole della democrazia, fuori di qui viene vista solo come un tentativo di fare trappole contro Renzi e contro il governo, e non è molto popolare», ragiona, sconsolato ma realistico, uno dei più brillanti tecnici dell'opposizione interna al premier sulla legge elettorale, il bersaniano Andrea Giorgis. Ad essere in difficoltà è soprattutto il capogruppo Speranza, che - pressato instancabilmente dal suo ex segretario Bersani - si è esposto molto nel capeggiare la fronda chiedendo a Renzi una nuova mediazione sul testo, e che ora - a mediazione respinta con perdite dal premier - deve scegliere se riallinearsi al premier o se battersi fino in fondo contro la linea del Pd e del governo, rinunciando «inevitabilmente», come fanno notare in molti tra i parlamentari, alla sua poltrona.
Renzi non pare molto preoccupato dal confronto interno sull'Italicum: è convinto che la gran parte dei dissensi rientreranno e che sui numeri non ci saranno problemi gravi. Ad attirare la sua attenzione in queste ore, oltre alle questioni di governo e alla ormai prossima visita a Washington, ospite di Obama, è la partita elettorale delle Regionali. Un test che, c'è poco da discutere, avrà un importante valore nazionale e verrà interpretato come un termometro per lo stato di salute del Pd e dell'esecutivo. E i punti di sofferenza, che Renzi si prepara a visitare per lanciare la campagna elettorale, non mancano: la Liguria, le Marche, la Campania. In Liguria la minoranza Pd, dopo le primarie perse da Cofferati che se ne è andato sbattendo la porta, ha deciso per la «scissione», nel tentativo di far perdere il fronte renziano che candida Raffaella Paita. Il candidato della sinistra Pd non ha alcuna speranza di insidiare la favorita, naturalmente, ma può cercare di rosicchiarle consensi: una sconfitta in una regione storicamente rossa sarebbe una sberla pesante per il premier. Ma i sondaggi, ricordati anche ieri da Lorenzo Guerini, mostrano in regione un Pd saldamente in testa, che ha poco da temere dalle opposizioni, e al Nazareno si mostrano sicuri di sé.
Più problematica invece la situazione nelle Marche, dove contro il Pd si è schierato il governatore uscente, il centrista Spacca, in cerca di un terzo mandato e pronto a candidarsi con il centrodestra per restare sulla poltrona, nonostante gli altolà di Palazzo Chigi. E delicato è anche il caso Campania: Renzi sarà sabato a Pompei a fianco di Vincenzo De Luca, il candidato Pd che ha vinto le primarie ma rischia la decadenza causa legge Severino, a presentare un'iniziativa sull'Expo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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