Il Pd minimizza il caso D'Alema ma adesso vede complotti ovunque

Dopo le trame dell'ex premier, timori di sabotaggi elettorali

Il Pd minimizza il caso D'Alema ma adesso vede complotti ovunque

Roma - «Non c'è nessun caso D'Alema. Lui ha smentito tutto in più di un'occasione e voterà Giachetti». È il presidente del partito a smorzare le polemiche, nate dopo la pubblicazione di un articolo di Repubblica in cui si sosteneva che D'Alema avesse intenzione di votare per la Raggi a Roma e di far fronte comune con i comitati del no per il referendum costituzionale di ottobre. Matteo Orfini mette tutto a tacere.

Quindi niente complotti. Nessuno sfogo iconoclasta. Nessuna carboneria. D'Alema voterà Pd (quindi Giachetti) al ballottaggio. E in questo senso le sue parole somigliano come gocce d'acqua a quelle dell'ex leader Maximo. Solo che quest'ultimo replica stizzito contro il «complotto», a suo dire, firmato a quattro mani da Repubblica e dalla dirigenza di largo del Nazareno. Mentre il primo sembra voler dire che si è trattato di un semplice qui pro quo. Un banale errore senza malizia. I due (Orfini e D'Alema) si somigliano anche nell'uso dei paradossi eleganti e dell'ironia un po' acida. E pare di vedere D'Alema, ma è Orfini, che dice: «Perché non viene a fare un po' di volantinaggio per Giachetti, tanto per dare un'immagine plastica della smentita?» Una prova muscolare, quella mostrata da Orfini, che forse - malignano i bene informati - tradisce una certa apprensione per la partita che conta, non quella delle amministrative, bensì quella del referendum di ottobre.

Adesso al Largo del Nazareno vedono complotti dovunque. A cominciare da quelli per sabotare la madre di tutte le riforme renziane, quella cioè che dovrà passare l'esame del referendum confermativo di ottobre. E guardano in tralice proprio i tanti comitati del No, dove se la nomenklatura piddina è scarsa, in abbondanza si trovano semplici attivisti e simpatizzanti del Pd. I complottisti, però, sono anche dall'altra parte della barricata. E sono in molti, a partire dallo stesso D'Alema, a parlare (anche se sottovoce) di imboscata. Lo scoop di Repubblica avrebbe - secondo loro - avuto il fine di mettere spalle al muro un nemico interno importante e ancora molto influente come l'ex premier.

Il presunto endorsement per l'aspirante sindaco grillino sarebbe, insomma, una scusa per stanare chi trama per il No referendario. Ma anche questo è un buco nell'acqua, stando alle considerazioni del diretto interessato.

«La volontà di impegnarmi nella campagna referendaria - spiega D'Alema - è stata annunciata più volte. Ho ritenuto, tuttavia, di evitare pronunciamenti proprio per non provocare strumentalizzazioni in vista delle amministrative, invitando a concentrarsi sui ballottaggi di domenica». D'Alema poi cita anche Tomaso Montanari, lo studioso che la Raggi vorrebbe come assessore alla Cultura e che D'Alema avrebbe incoraggiato ad accettare l'incarico. «Tomaso è un amico. Ho parlato con lui -racconta D'Alema- che mi ha chiesto un consiglio e ho ritenuto di dirgli che un suo impegno per Roma sarebbe certamente positivo per la città. Opinione che confermo».

Resta il problema di fondo:

cui prodest tutto questo polverone? D'Alema non ha dubbi: «Si tratta di una montatura contro di me. Stanno cercando un capro espiatorio perché pensano che i risultati di domenica non saranno soddisfacenti come vorrebbero».

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