«La mossa del cavallo», la chiama un renziano di prima fila. Quella che dovrebbe arrivare a sorpresa, e solo alla fine del percorso che, probabilmente, porterà l'asse Di Maio-Salvini a schiantarsi.
Una mossa di cui, attraverso canali molto sotterranei, già si starebbe iniziando a ragionare tra il quartier generale del segretario dimissionario del Pd e il centro decisionale grillino di Milano, dove ha sede la Casaleggio. E che farebbe tornare in gioco i Dem, con la regia di Matteo Renzi, come interlocutori di una nuova maggioranza di governo insieme ai pentastellati.
Non c'è ancora «nulla di definito o di deciso», dicono, ma che un lavorio sia cominciato lo confermano diverse fonti. Un neo-senatore del Nord, qualche giorno fa, ha avuto un colloquio con Matteo Renzi, per perorare la causa dell'apertura ai Cinque Stelle, sulla base di un «programma di riforme» che parta dalle legge elettorale per estendersi alle modifiche costituzionali. Un po' sulla falsariga di quella «legislatura costituente» proposta tempo fa da Franceschini. E, con suo stupore, il senatore ha confidato agli amici di partito di aver trovato Renzi «assai più aperto all'idea di quanto immaginassi».
Un altro dirigente Dem racconta di aver addirittura saputo che i primi contatti sarebbero stati avviati con la Casaleggio attraverso un tramite non politico, che passerebbe per l'imprenditore - e amico di antica data di Renzi - Marco Carrai. Fantapolitica? Chissà: nessuno, per il momento, è disposto a dare conferma di un'operazione che, per iniziare ufficialmente, necessita di alcune premesse fondamentali. A cominciare dal definitivo naufragio di ogni ipotesi di maggioranza centrodestra-Cinque Stelle: una volta sancito il fallimento di Di Maio e di Salvini, si potrebbe aprire quella che Lorenzo Guerini definisce «la fase due». Ovviamente, la questione della premiership di Di Maio sarebbe archiviata, e quella di un altro grillino, come l'«istituzionale» Roberto Fico, non trova grande credito («I primi a non reggerla sarebbero proprio i grillini», assicurano i Dem). Anche se c'è chi, nel Pd, la apprezzerebbe, perché Fico premier potrebbe liberare la casella di presidente della Camera per un Dem come Franceschini.
Ma in casa renziana non è questa l'ipotesi: il premier dovrebbe essere una «figura terza», non targata politicamente: un personaggio «alla Cassese». Con un programma ambizioso di riforme, e un sostanziale riconoscimento di quelle già avviate dall'«agenda Renzi» della scorsa legislatura. Il Pd potrebbe dare il suo avallo compatto all'operazione: del resto, finora era Renzi colui che sbarrava la porta ad ogni tentativo di intesa coi grillini. In questo caso, invece, sarebbe lui ad assumerne la regia. Il margine numerico di un simile governo sarebbe quindi agevole: secondo i conti, al Senato ci sarebbero almeno 170 voti, inclusi quelli di Leu e di qualche senatore delle Autonomie e del Misto.
A nutrire qualche perplessità sull'operazione, dicono i bene informati, sarebbe invece il Colle: una maggioranza che tagli fuori la coalizione arrivata prima, ossia il centrodestra, offrirebbe il fianco ad attacchi politici molto duri da parte degli esclusi.
«E Mattarella non vuole certo fare la parte di Oscar Luigi Scalfaro: non è nelle sue corde», osserva chi nel Pd conosce le idee del presidente. Difficile quindi che il Quirinale si adoperi attivamente per questa soluzione. Ma se restasse l'unica opzione in campo, e con i numeri per passare, non potrebbe neppure mettersi di traverso.
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