Il Pd spera che Draghi resti a Palazzo Chigi e convinca Mattarella

Dem nel caos. Letta vede il "nemico" Renzi. Il leader di Iv: "Si andrà sul premier..."

Il Pd spera che Draghi resti a Palazzo Chigi e convinca Mattarella

Trattativa ancora in alto mare, girandole di nomi e ipotesi che rimbalzano tra un appuntamento e l'altro del tour de force di incontri che il segretario Pd Enrico Letta ha proseguito anche ieri, in attesa che oggi si pronunci il centrodestra.

Il nome di Mario Draghi continua inesorabilmente a sovrastare tutti gli altri, ma dentro i vari partiti e schieramenti prosegue un agitato tramestio in cerca di soluzioni alternative che siano in grado di scongiurarlo (per i suoi nemici) o di preservarlo a Palazzo Chigi «perché se non c'è lui non riusciremmo neppure a realizzare il Pnrr, e chi mai terrebbe insieme questa maggioranza senza capo né coda?», come si preoccupa un esponente dem. Quindi si cerca freneticamente un «piano B» che possa reggere dal quarto scrutinio, a cominciare dall'inaffondabile speranza in un Mattarella bis: «Se fosse Draghi stesso, magari insieme a Berlusconi, a chiedergli di restare, si risolverebbe ogni problema», è il sogno di un pezzo grosso del Pd. Ma Matteo Renzi taglia corto: «Mattarella non lo farà mai».

In serata torna a circolare anche al Nazareno il nome di Giuliano Amato come «ipotesi ancora forte». Ma una cosa è chiara, anche nel Pd: Giuseppe Conte, che pure (per evitare Draghi e seguire i consigli dalemiani) sarebbe felice di buttarsi su Amato, non si può permettersi di proporne la candidatura al proprio partito, o quel che ne resta. Basta sfogliare il Fatto Quotidiano di questi giorni, e notare la foga con cui il giornale travagliesco massacra quotidianamente l'ex premier socialista (ieri era addirittura colui che «non fece nulla per bloccare la trattativa Stato-Mafia», che in verità secondo i tribunali non è neppure mai esistita) per capire che l'ex avvocato del popolo ha le mani legate dai manettari. Poi c'è la carta trasversalissima di Pierferdinando Casini, ma nel centrodestra trova parecchi ostacoli.

In attesa del vertice Forza Italia-Lega-FdI, l'annunciato faccia a faccia del segretario dem col leader della Lega Matteo Salvini è stato rinviato, probabilmente a domani: «Prima hanno entrambi bisogno di sapere cosa dirà Silvio Berlusconi». Nel frattempo, un po' per dovere di «campo largo» e un po' per ingannare l'attesa, Letta ha visto chiunque: dal verde Angelo Bonelli al segretario Psi Enzo Maraio, che in due non fanno un grande elettore, al gruppuscolo di fuoriusciti vari che si è battezzato «Fare eco». L'unico meeting politicamente significativo però è quello, di buon mattino, con l'ex arci-nemico Matteo Renzi, anche se l'impressione che se ne ricava è che entrambi abbiano tenuto le rispettive carte assai coperte. Ma con reciproci riconoscimenti: «È andata bene», dicono al Nazareno. «Letta ha detto una cosa che condivido - dice Renzi - e cioè che ci vuole un patto di legislatura - dice il leader di Italia viva - Mettiamoci d'accordo, litigheremo nel 2023». Il messaggio, più che al Pd, è rivolto a Mario Draghi: «Alla fine - confida Renzi ai suoi - si andrà quasi inevitabilmente sul suo nome. Ma il premier deve decidersi ad aprire una trattativa seria con i partiti sullo schema di gioco, a cominciare dal futuro governo».

A preoccupare tutti gli attori e comprimari, infatti è il prossimo eventuale esecutivo, a cominciare dal futuro premier. Tra i nomi più gettonati, ieri, è spuntato quello della diplomatica oggi a capo del Dis Elisabetta Belloni. «Con Draghi al Colle non sarà un politico a fare il presidente del Consiglio, ma una figura istituzionale che vada bene a tutti», dice sempre Renzi.

Dal Pd è Stefano Bonaccini a ribadire un concetto assai simile: «Se Draghi diventasse il punto di incontro del Parlamento nessuno potrebbe dirgli di no. Ma serve un patto di legislatura che tenga insieme le forze che sostengono questo governo».

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