«Lascio, per essere libera di dimostrare la mia correttezza. Ho sempre rispettato le regole». Alle otto della sera, dopo un lungo braccio di ferro sotterraneo, Catiuscia Marini si dimette dalla presidenza della regione Umbria.
In contemporanea, Nicola Zingaretti la ringrazia per aver «scelto di mettere al primo posto il bene della regione», e le rende l'onore delle armi: «In questi anni Catiuscia è stata al servizio delle istituzioni e dell'interesse generale, e ha garantito all'Umbria sviluppo e qualità della vita e dei servizi». Poi il segretario Pd tira un sospiro di sollievo.
Dimissioni: che per la governatrice dell'Umbria la sorte politica fosse segnata si era capito ore prima, quando Zingaretti la ha - con formula diplomatica - scaricata. «So che c'è un Consiglio oggi, confido nella capacità di valutazione e nel senso di responsabilità della presidente perché faccia ciò che è più utile all'Umbria e alla sua comunità», dice il segretario del Pd ai giornalisti, e l'antifona è chiara.
Da Roma parte il messaggero Zingarettiano, Walter Verini, già sfidante alle primarie del segretario regionale Giampiero Bocci, indagato e commissariato dal medesimo Verini. E va a discutere con Catiuscia Marini della exit strategy del Nazareno. Lei, donna tosta, resiste e si dice pronta a combattere le accuse una per una. Ma, donna di partito, si dice pronta ad obbedire se il segretario glielo chiede esplicitamente, cosa che Zingaretti voleva evitare di fare.
Ora inizierà la procedura per le elezioni, che si terranno nella prima «finestra» utile: probabilmente in autunno, con l'Emilia Romagna. «Quel che succederà è già scritto», sospira un dirigente del Pd non zingarettiano: sottinteso, la Regione finirà al centrodestra, che già governa Perugia e Terni. «Ma proveranno a dire che non è colpa del segretario ma dell'incidente giudiziario». Per qualche giorno, i vertici del Pd hanno pensato di resistere e di lasciare la governatrice Catiuscia Marini a presidiare l'Umbria, per non far cadere la prima regione rossa nelle grinfie della Lega.
Poi ci si è resi conto che la pressione stava diventando insostenibile, con i media intenti a rovesciare tonnellate di fango e di intercettazioni (come al solito non sempre giudiziariamente interessanti ma comunque personalmente sputtananti, che è quel che conta) e gli avversari politici pronti a cavalcare l'onda. Ad allarmare Nicola Zingaretti sono stati i sondaggi, che hanno subito iniziato a registrare una inversione di tendenza (l'ultimo, lunedì, dava il Pd al 21,5%, in calo di più di mezzo punto), rosicchiando il vantaggio sui Cinque Stelle guadagnato negli ultimi mesi. Così è partito il dietrofront: Marini si deve dimettere. Con il Pd al contrattacco: «Caro Di Maio, vergognati tu», replica Paola De Micheli al grillino che infierisce. «Parli della Marini, ma hai aspettato tre anni sui processi della Raggi senza far nulla».
L'offensiva giudiziaria però non si ferma all'Umbria: ieri è arrivata notizia del rinvio a giudizio per «falsa testimonianza» della deputata Pd Micaela Campana, nel processo romano detto «Mondo di mezzo». L'unica buona notizia arriva con l'ennesima assoluzione piena per Renato Soru, ex governatore Pd della Sardegna e patron di Tiscali. Ma arriva dodici anni dopo le accuse.
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