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Pestata a morte a 22 anni per non aver indossato il velo

Pestata a morte a 22 anni per non aver indossato il velo

È morta dopo tre giorni nell'ospedale dove era arrivata in coma dalla caserma, a poche ore dall'arresto dalla polizia di Teheran per non aver indossato il velo in modo «appropriato». Mahsa Amini (nella foto) aveva 22 anni, era originaria del Kurdistan iraniano e si trovava in vacanza con la famiglia a Teheran. Il fratello Kiarash ha detto alla stampa che era stata presa dalle forze dell'ordine martedì sera per strada, davanti ai suoi occhi, e portata in caserma per una «rieducazione» a causa del modo in cui portava il velo, obbligatorio in pubblico.

Kiarash aspettava la sorella fuori dall'edificio ma, dopo avere sentito grida provenire dall'interno, l'ha vista uscire in un'ambulanza che l'ha trasportata nell'ospedale dove è stata dichiarata morta dopo tre giorni di coma. Citando «accuse riguardo a torture e maltrattamenti durante la detenzione», Amnesty International sospetta che la ragazza possa essere morta già mentre si trovava in caserma e chiede che sia aperta un'inchiesta contro agenti di polizia e funzionari per fare luce sul caso. Anche il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha ordinato al ministero dell'Interno di procedere con un'indagine per chiarire quanto accaduto. Ma è proprio contro il governo del leader ultraconservatore, e il suo sostegno alla legge che obbliga a portare il velo, che molti iraniani hanno puntato il dito per la morte di Mahsa. Centinaia i messaggi sui social media che criticano il regime di Teheran.

È questo il contesto nel quale il presidente Raisi si recherà nei prossimi giorni a New York per partecipare all'Assemblea generale delle Nazioni Unite, mentre già prima della morte della ragazza, nei giorni scorsi, vari gruppi di dissidenti iraniani all'estero, e anche alcuni politici americani, avevano chiesto al presidente americano Joe Biden di non concedere il visto per gli Usa a Raisi, citando il suo ruolo nelle esecuzioni di prigionieri politici nel 1988, quando l'attuale presidente ricopriva la carica di vice procuratore di Teheran e partecipò alla commissione che diede il via libera alle condanne.

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