Il piano dell'Ue per l'Africa Ma Macron sgambetta l'Italia

Tajani: gli investimenti passino da 33 a 40 miliardi Sulla Libia la Francia gioca sporco contro il Viminale

Il piano dell'Ue per l'Africa Ma Macron sgambetta l'Italia

Bello, ma impossibile. Il sogno di un piano Marshall europeo per garantire lo sviluppo dei Paesi africani da cui partono gli immigrati e fermare così l'esodo rischia di rivelarsi flebile ed evanescente quanto il titolo di una canzone. Lo sforzo - auspicato dal Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani e dal nostro premier Paolo Gentiloni, protagonisti del vertice dei leader europei e africani riuniti ad Abidjan in Costa d'Avorio - fa i conti con le divisioni dell'Europa e con il fantasma cinese. Un fantasma che tra il 2000 e il 2010 ha garantito prestiti per 67 miliardi ai Paesi dell'Africa sub sahariana cioè 12 di più di quanti ne ha concesso nello stesso periodo la Banca Mondiale.

Dunque ha ragione Tajani quando spinge per portare il fondo per gli investimenti in Africa dagli attuali 33 miliardi a 40. Solo la quantità ci può consentire d'influire in un continente dove i cinesi sono i protagonisti di un neocolonialismo aggressivo e selvaggio. Un neocolonialismo combattuto a colpi di crediti miliardari in cambio dei quali i Paesi africani sono costretti a cedere le loro risorse naturali dal cobalto al rame, dal manganese al petrolio. Un neocolonialismo vera causa dell'esodo di milioni di africani costretti ad abbandonare Paesi dove i loro posti di lavoro sono occupati da manovalanza cinese importata da Pechino.

Il caso del Ghana - da cui arrivano tanti migranti partiti dalla Libia e dove Gentiloni ha fatto tappa prima di arrivare ad Abidjan - è sintomatico. In quel Paese il tasso di disoccupazione è al 48 per cento, ma il governo non può investire per garantire posti di lavoro perché minerali e petrolio servono a ripagare gli oltre due miliardi di dollari di debiti contratti con le banche cinesi. E così mentre i giovani del Ghana fuggono verso l'Europa il loro posto viene preso da lavoratori cinesi a basso costo. In situazioni come queste anche la richiesta del Commissario Federica Mogherini di aprire vie legali per l'immigrazione appare irrealizzabile. Privi di qualsiasi esperienza lavorativa gli africani sono oggi incapaci di garantire ogni forma di manovalanza specializzata. Ma la sfida europea è inficiata da almeno altri due handicap. Il primo è la pretesa etica degli eventuali fondi europei. Mentre Pechino non richiede alcuna garanzia democratica e liberale ai regimi scelti come partner economici l'Ue è costretta pretendere il rispetto almeno apparente dei diritti umani. E questo non aiuta raggiungere intese con Paesi governati da sistemi o personaggi poco in linea con le esigenze europee. Il secondo serissimo handicap sono le divisioni dell'Europa. Il primo a ricordarle è Gentiloni sottolineando che il fondo per l'Africa non può restare un'iniziativa di Italia, Germania e Francia. E non può, aggiungiamo noi, raggiungere alcun obbiettivo se i pochi interpreti guardano all'iniziativa come a una mera opportunità per accrescere il proprio ruolo.

È il caso di Emmanuel Macron, arrivato al vertice facendosi precedere dalle dichiarazioni di appoggio ai migranti africani e dalla richiesta di una convocazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu in cui la Francia, utilizzando il video della Cnn sulla tratta di migranti-schiavi, ha messo sotto accusa il governo di Tripoli. Una manovra, neanche tanto coperta, per denunciare gli accordi tra Italia e Tripoli che hanno permesso di bloccare il flusso dei migranti e presentarsi davanti ai Paesi africani come il paladino dei loro concittadini.

Ma soprattutto una mossa sfrontata da parte del presidente di una Francia responsabile della guerra a Gheddafi e dell'attuale caos libico. Ma per Macron come per Sarkozy, il vero obbiettivo resta sempre lo stesso: scippare all'Italia il petrolio e il gas libico. E con essi l'influenza politico economica esercitata nel Paese nordafricano.

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