In piazza con gli anti Maduro «Adesso impugniamo le armi»

La rabbia del Venezuela all'ultima protesta. Il regime: "Domenica spazzeremo via tutti quanti gli oppositori"

In piazza con gli anti Maduro «Adesso impugniamo le armi»

«Dalla rivolta alla resistenza armata, per la libertà del Venezuela seguendo l'esempio di Oscar Pérez!». Per ora sono solo slogan quelli ripetuti dalla 17enne Raquel che però, assieme a decine di altri giovanissimi da giorni sulle barricate, sta seriamente pensando di entrare in clandestinità, proprio come il misterioso «Rambo» della scientifica venezuelana che, un mese fa, sorvolò Caracas indisturbato sparando su Corte Suprema e ministeri per poi dileguarsi. Obiettivo? Opporsi non più solo con fionde e pietre ma con armi vere alla dittatura comunista che il presidente del Venezuela Nicolás Maduro instaurerà dopo l'elezione-frode di domenica 30 luglio, con una Costituente ispirata al modello castrista destinata a sostituire il Parlamento. Il rischio per Raquel? Fare la stessa fine di Enderson e Rafael Antonio - le ultime due vittime dei già 110 morti che ha sulla coscienza Maduro ma lei mi fulmina con lo sguardo: «Chi non ha paura muore una volta sola».

Sono ore decisive per lo stremato popolo del Venezuela perché, come spiega Luis Vicente León, presidente di Datanálisis, «la Costituente si è trasformata in un elemento di vita o di morte per il regime di Maduro, una sorta di Soviet Supremo capace di dare nuova linfa a chi invece, essendo minoranza, oggi perderebbe qualsiasi elezione, anche quelle per amministratore di condominio». Una delle analisi più lucide la sua anche a detta dei diplomatici di Portogallo, Spagna e Italia, i tre paesi che più al mondo più sono preoccupati della deriva dittatoriale di Maduro visto che su 30 milioni di venezuelani almeno quattro sono emigranti di prima generazione da questi Paesi.

Ieri la Avenida Francisco de Miranda sembrava una via crucis della disperazione, con centinaia di scheletri dalle sembianze solo più vagamente umane che, tra una barricata e l'altra, rovistavano tra i rifiuti alla disperata ricerca di qualche caloria. «È la dieta Maduro» ci ha scherzato più volte in tv a reti unificate il presidente più odiato della storia del Venezuela e la cui immagine - sempre più simile a quella di Saddam Hussein - tappezza oramai tutta Caracas con sotto scritto «assassino», a testimonianza di come anche gli sgherri di regime non riescano più neanche a cancellare i segni trasbordanti del dissenso. A detta delle associazioni mediche del Paese, negli ultimi due anni ogni venezuelano ha perso in media dieci chili di peso, statistiche da tragedia politica, economica e pure umanitaria, altro che fare i buffoni con castronerie apologetiche della rivoluzione che aiuta i poveri ed i pensionati. «Esistesse un sistema internazionale che funziona tutti i vertici dell'attuale governo venezuelano sarebbero già sotto processo all'Aia per gravi crimini contro l'umanità ma, purtroppo, ci vorranno ancora anni di sofferenze», spiega Victor Bueno, uno dei tanti abitanti del 23 de Enero che, nonostante le minacce dei collettivi tupamaro, da settimane marcia contro Maduro.

Nel frattempo il numero delle vittime sale a 111. L'ultima vittima il 16enne Jean Carlos Aponte, ucciso nella città dormitorio di Petare, un tempo feudo chavista, oggi tra i principali bastioni della resistenza contro la dittatura. E mentre oggi è in programma una grande marcia per la conquista di Caracas, ieri il numero due di Maduro, Diosdato Cabello, ha chiarito il futuro del Venezuela. «Il 3 agosto 2017 faremo sloggiare con le buone o con le cattive tutti i deputati eletti nel dicembre del 2015 ed il loro posto sarà preso dai 537 membri eletti dell'Assemblea Costituente, al 100% chavisti, rivoluzionari doc». E ancora.

«Entreremo in Parlamento 72 ore dopo il voto del 30 luglio della Costituente del popolo», «metteremo in carcere tutti i deputati che nei giorni scorsi hanno invitato alla ribellione e se la procuratrice generale della Repubblica, Luisa Ortega Diaz (una chavista della prima ora, passata negli ultimi mesi a difendere i diritti umani, nda) ha qualcosa da dire che lo faccia ora o taccia per sempre perché tra 5 giorni...». A quel punto fa un inequivocabile gesto delle manette Diosdato, definito il «Pablo Escobar del Venezuela» dall'ex candidato presidenziale repubblicano, Marco Rubio. No, Escobar aveva più classe.

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