Il Pirata senza pace: "Ucciso da qualcuno non da un'overdose"

L'ipotesi omicidio, sempre sostenuta dalla famiglia, ora è avvalorata da una perizia. Il pm: caso riaperto, contro ignoti

Il Pirata senza pace: "Ucciso da qualcuno non da un'overdose"

Urla, grida e minacce. L'ultimo viaggio di Marco Pantani parte da qui: da una furibonda lite tra il campione romagnolo e Manuela Ronchi, la ex manager del Pirata che si era preso cura del campione romagnolo. Una lite avvenuta nella casa milanese della manager, zona San Siro, davanti a mamma Tonina e papà Paolo. Quella sera fu l'ultima volta che i genitori videro in vita il loro ragazzo. Quella sera Marco prese rabbioso le sue cose e andò prima a dormire in un albergo di Milano e poi con un taxi si fece accompagnare a Rimini.

Marco Pantani è stato ucciso? Questo è quello che sostiene da anni la famiglia di Marco, e quello che grida al mondo almeno da cinque anni con rabbiosa veemenza mamma Tonina, dilaniata da un dolore senza fine. Marco è stato ucciso. Ci sono responsabilità e la mamma vuole giustizia, vuole la verità.

Ma se fino ad oggi a parlare di omicidio era qualche giornalista o una madre o un padre disperati, ora c'è anche una perizia del professor Francesco Maria Avato, che con la sua consulenza ha offerto alla famiglia elementi atti a smontare la tesi di un'overdose accidentale accettata fino ad oggi. Al centro di tutto c'è la ricostruzione di quello che successe in quella stanza (la D5) di 27 metri quadrati del residence Le Rose di Rimini. L'indagine, all'epoca, stabilì in 55 giorni d'indagine, che «nessuno è entrato e nessuno è uscito da quella stanza». Ricostruzione che sembra traballare e non poco, con gli elementi scientifici portati alla luce dal professor Avato. Quali sono questi punti oscuri? Il pasto modesto ingerito dal Pirata doveva essere stato consumato a ridosso della sua morte: peccato che non l'avesse mai ordinato. Quei tre giacconi, di cui uno da sci, che Marco non aveva quando arrivò nel residence di Rimini come hanno assicurato quattro testimoni.

Ma Avato non si limita a questo, la sua perizia è molto più dettagliata. Il corpo di Marco è segnato da ferite, conseguenza di calci e pugni. Marco viene rinvenuto nella stanza, in una pozza di sangue del diametro di un metro e i segni presenti sul corpo di Marco denotano chiaramente - secondo la perizia - il trascinamento del corpo, quindi in quella stanza c'era qualcuno. Secondo sempre il professor Avato, nell'organismo del campione romagnolo c'erano diverse decine di grammi di cocaina, incompatibile con l'ingestione, sei volte superiore alla dose letale. E poi quelle palline di pane e saliva, imbevute di cocaina, che non potevano essere ingerite tanto facilmente, quindi sarebbe stata necessaria dell'acqua e quella bottiglia che compare sul luogo della morte - e mai analizzata - potrebbe essere stata utilizzata proprio a questo scopo.

Insomma, sono molti gli aspetti di questa vicenda che secondo l'avvocato di famiglia Antonio De Rensis ha messo in evidenza, accumulando in questi anni una serie impressionante di contraddizioni e anomalie. Il tutto poi avvalorato dalla perizia medico-legale del professor Avato.

Tutto questo lavoro è stato poi assemblato in un esposto presentato la scorsa settimana alla Procura di Rimini, che ha competenza sull'accaduto. La richiesta era: riaprire il caso sulla base dei molti fatti nuovi contenuti nelle pagine dell'istanza. Il fascicolo (contro ignoti) è stato assegnato dal procuratore capo di Rimini, Paolo Giovagnoli, a un pubblico ministero titolare: Elisa Milocco. Toccherà a lei far luce su quello che è accaduto il 14 febbraio 2004.

Un aspetto molto interessante di tutta questa vicenda è il punto terminale di questa tragica storia: il litigio. Emblematica è la storia dei tre giubbini ritrovati all'interno della stanza di Marco. Chi li ha portati? I giacconi sono certamente di Pantani: li va a prendere a casa sua il 26 gennaio, vorrebbe andare a sciare con il marito della sua manager. Il 31 gennaio, Pantani è a Milano e ha una lite con la Ronchi. Marco scappa e si rifugia in un hotel dalle parti di piazza Repubblica. Non ha valigie.

La ex manager gli fa recapitare la sportina in albergo a Milano. Marco sale su un taxi, con il suo sacchettino e si fa portare in Romagna. E la domanda è sempre la stessa: chi ha portato quei tre giubbotti a Rimini? E soprattutto perché?

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