Il presidente di Federacciai: «Sono stato un c... ma non ho corrotto nessuno. Di cosa mi accusano?»

Il presidente di Federacciai: «Sono stato un c... ma non ho corrotto nessuno. Di cosa mi accusano?»

Milano «Sono stato un coglione». Così, senza tanti giri di parole, Antonio Gozzi - presidente di Federacciai e amministratore delegato di Duferco, colosso del commercio siderurgico - sintetizza l'origine dell'incubo che la settimana scorsa lo ha portato in una cella del peggior carcere di Bruxelles, denudato e vestito con il pigiama bianco dei detenuti. Del progetto di entrare nel business delle lotterie di Stato in Congo, pasticcio a forti tinte su cui sta indagando la magistratura belga, Gozzi appare sinceramente pentito di essersi invaghito: «Uno dei peggiori sbagli della mia vita». Ma questo non gli impedisce di avere parole di fuoco verso il magistrato che lo ha convocato a Bruxelles per un interrogatorio, «cui mi sono presentato volontariamente», e che prima ancora di vederlo in faccia lo ha fatto ammanettare dalla polizia e chiudere in una camera di sicurezza; e che dopo un breve interrogatorio lo ha spedito in carcere per quarantott'ore. Durante le quali a tenerlo a galla sono stati i messaggi dei suoi ragazzi, i calciatori della Virtus Entella che gli hanno scritto: «Presidente, ti aspettiamo per Entella-Catania». E oggi, finito l'incubo del carcere, Gozzi sarà allo stadio.

Ma il pasticcio belga non è finito, l'accusa di corruzione internazionale resta, e per questo Gozzi si dichiara pronto a un passo indietro sia dalle cariche confindustriali che da quelle in azienda («anche se vedo che De Scalzi, indagato per una vicenda ben più grossa, è stato invitato dal governo a restare al suo posto in Eni»). Non perché si consideri colpevole, anzi: «Non ho mai corrotto nessuno, e non sono nemmeno mai stato in Congo», ma perché «bisogna pensare soprattutto agli interessi dell'azienda e alle migliaia di famiglie dei dipendenti».

Ma cosa voleva sapere da lei il giudice Michael Claise, magistrato e romanziere di successo? «Francamente io non capisco ancora adesso di cosa sono accusato, chi, quando, dove avrei corrotto. Forse voleva che io ammettessi di essere il regista dell'operazione. Ma non è così». L'operazione, «finita in modo disastroso, ci abbiamo perso dieci milioni di euro», doveva essere lo sbarco in una specie di Lottomatica congolese, «un piano industriale serio, in un paese con un'economia che cresce più della nostra». Non era un piano di Duferco, che con i suoi sette miliardi di dollari di fatturato difficilmente può interessarsi a vendere i gratta e vinci in Congo, ma di «alcuni azionisti privati» del gruppo, di cui Gozzi non fa il nome, «perché c'è il segreto istruttorio», e che sarebbero i veri titolari della società delle Isole Vergini che compare nelle carte dell'inchiesta, e di cui secondo la stampa belga il dominus era invece proprio Gozzi.

A rendere la storia cupa, c'è la misteriosa scomparsa di Stephan Dewitte, il commercialista di Duferco che prima di svanire nel nulla in Congo ha diffuso un memoriale pieno di accuse.

Ma lì, dice Gozzi, ci sono di mezzo l'Africa, il suo fascino conradiano, e una donna bellissima - Princesse Odette - che ha fatto perdere la testa al commercialista. Insieme a Dewitt, spiega Gozzi, sono spariti nel nulla anche un bel po' di milioni. «E il Congo è un paese dove fare queste cose può essere pericoloso».

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