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Il prete irredentista veneto scomunica pure il prefetto

Un parroco del Bellunese scrive al rappresentante del governo: "Qui da noi il suo potere crea disagio"

Il prete irredentista veneto scomunica pure il prefetto

Era già intervenuto all'incontro di fondazione della formazione che ha unificato i vari gruppi indipendentisti - il Partito dei Veneti - attirando su di sé la curiosità di molti. Ma quando nei giorni scorsi don Floriano Pellegrini ha inviato una lettera aperta al nuovo prefetto di Belluno, dottoressa Adriana Cogode, augurandole di «sentirsi a disagio tra noi o, almeno, di rendersi conto che noi proviamo disagio per la presenza di persone rivestite del Suo ruolo», la reazione delle gerarchie ecclesiastiche non si è fatta attendere.

Con un comunicato, infatti, la diocesi si è sentita «in dovere di prendere le distanze da quanto dichiarato da don Floriano». Eppure il sacerdote non ha mostrato disprezzo per un altro essere umano: come ha fatto un prete del Lecchese pochi giorni fa, in un polemica con il leader della Lega, Matteo Salvini. E ora nella diocesi bellunese qualcuno deve spiegare se sia legittimo per un sacerdote avere idee personali e, soprattutto, immaginare un futuro politico diverso, recuperando quel diritto a gestirsi da sé così importante nella storia veneta.

Nel suo paesino della val di Zoldo, nelle Dolomiti, don Pellegrini non ha augurato niente di male a nessuno e il suo comportamento è stato, semplicemente, quello di un uomo di Chiesa vicino ai sentimenti e ai convincimenti della gente. In effetti, in Veneto giorno dopo giorno cresce il fastidio di fronte allo Stato italiano: l'aspirazione ad autogovernarsi monta di continuo, soprattutto alla luce del fatto che l'autonomia differenziata votata nel 2017 è stata negata da tutti i governi e ora pare destinata a finire nel dimenticatoio.

Il prete ha dato voce a quel legittimo fastidio dinanzi al potere centrale e ai suoi interpreti che già un liberale come Luigi Einaudi aveva espresso in pagine celeberrime: specie nello scritto intitolato «Via i prefetti». In più, con le sue parole don Pellegrini ha pure inteso interpretare una sensibilità propriamente veneta. Le formule usate nella sua missiva al prefetto sono esplicite quando sottolinea che quel funzionario è venuto «a rappresentare la Repubblica degli Italiani e a tenerci sotto gli ordini, le leggi e, non da ultimo, le forze armate che fanno capo a Roma».

Coloro che fino a oggi si sono illusi che lo scontento veneto potesse essere fatto rientrare con qualche promessa, magari grazie all'ausilio di amministratori allineati ai partiti nazionali, ora devono iniziare a guardare le cose da un'altra prospettiva. Il conflitto tra il prete montanaro e le gerarchie ecclesiastiche è una spia di tensioni crescenti, perché larga parte delle élite venete non è disposta a riconoscere quel diritto all'autogoverno che invece è ormai rivendicato da tantissimi cittadini comuni.

Adesso don Pellegrini deve fare i conti con i rimbrotti del vescovo. La gente qualunque, però, è in larga misura con lui.

E questo dovrebbe fare riflettere.

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