A tre anni e mezzo dai fatti, siamo ancora qui a discutere dei due marò accusati dall'India di aver ucciso un paio di pescatori scambiati per pirati. La vicenda è nota e non vale la pena di riassumerla: sarebbe un'operazione stucchevole. La novità consiste nella circostanza che il giudizio sulla colpevolezza o meno dei soldati ha cambiato sede: da Nuova Delhi ad Amburgo. Un passo avanti. A decidere del loro destino non è più un collegio di indiani inclini a fare gli indiani, bensì un giudice terzo e internazionale, a garanzia di maggiore obiettività.
La battaglia tribunalizia è cominciata ieri. Le nostre richieste sono di buon senso, il che è motivo di stupore, visto che la controversia era stata gestita dall'Italia all'insegna dell'improvvisazione, anzi, alla carlona. Dato che l'India ha accolto la nostra proposta di un arbitrato, adesso pretendiamo che gli imputati, in attesa della sentenza (sarà emessa in tempi biblici), rimpatrino. Massimiliano La Torre, colpito da ictus, a dire il vero trovasi a casa sua per gentile concessione delle autorità di Nuova Delhi: si sta curando e pare sia migliorato. L'altro, invece, Salvatore Girone è tuttora laggiù, in Asia, ma a questo punto sarebbe opportuno (e logico) che venisse rilasciato.
Il dibattito giudiziario è in corso e non sappiamo quale ne sarà l'esito. Speriamo non vi siano ulteriori intoppi: ce ne sono stati fin troppi. Non manca un certo ottimismo, ma siamo cauti: le cattive sorprese in questa storia sono state ricorrenti. Esaurita la parte riguardante la posizione dei marò durante la fase processuale, il tribunale entrerà nel merito della causa, e il procedimento si annuncia lungo: due o tre anni; nelle more sarebbe bene che - in omaggio alla civiltà del diritto - i militari fossero a piede libero sino al verdetto. Ciò sottolineato, ci domandiamo come mai i governanti italiani non avessero provveduto subito a sollecitare l'arbitrato allo scopo di sottrarre gli imputati alle grinfie - politicamente affilate - degli indiani. Non lo scopriremo mai e ci tocca per forza avanzare delle ipotesi: la più credibile è che i nostri uomini dell'esecutivo si siano comportati con leggerezza, animati dal più totale menefreghismo.
Girone e La Torre erano nei guai? Cavoli loro. Brutale che sia, la sintesi è corretta. Altra spiegazione persuasiva non esiste. D'altronde, la crisi è stata alimentata da un numero sorprendente di scemenze. La prima. A sparatoria avvenuta in mare, la nave avrebbe dovuto fare dietrofront verso l'Italia; viceversa, il comandante - irresponsabilmente, a nostro parere - accettò di attraccare nel porto di Kochi, agevolando in tal modo l'arresto dei marò. Roba da matti. Da qui in poi è stato un susseguirsi di errori macroscopici.
Il più grave lo ha commesso, quando era premier, Mario Monti. Il quale, allorché i fucilieri ebbero il permesso di rientrare nel nostro Paese per le festività, su suggerimento del ministro Giulio Terzi di Sant'Agata optò per trattenerli, salvo cambiare idea alcuni giorni appresso per ragioni misteriose. Cosicché i due, ormai convinti di essere rimpatriati (foto celebrativa con il presidente del Consiglio), all'ultimo momento furono indotti a ripartire per l'India. Un episodio crudele e indecoroso, il cui regista autentico non fu mai smascherato. Bisogna affidarsi all'immaginazione. E il pensiero vola sul mica tanto ermo colle.
Ogni ulteriore tentativo di dirimere il contenzioso fu inadeguato o addirittura velleitario, tant'è che non si giunse mai a capo di nulla. Dalle mosse di Matteo Renzi a quelle di vari personaggi minori della politica nostrana, è stata una sequela di goffe iniziative. Alcuni signori del Palazzo si sono recati a Nuova Delhi senza sapere a chi rivolgersi per avere udienza: il loro è stato un ballon d'essai o, meglio, un esperimento di turismo umanitario finalizzato a dimostrare che la vita dei marò stava a cuore ai parlamentari buonisti. Propaganda.
In realtà, una penosa quanto vana sceneggiata.Ieri, per la prima volta in tre anni e mezzo, si è dato il via a qualcosa di serio. Meglio tardi che mai. Intanto, però, abbiamo inanellato una figuraccia dietro l'altra, e ignoriamo quale sarà la sorte dei soldati.
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