Il puzzle dei sottosegretari mette in subbuglio i partiti

Draghi chiede una "rosa" pronta per domani al Cdm. Pd e Cinque Stelle alle prese con gli scontri interni

Il puzzle dei sottosegretari  mette in subbuglio i partiti

A Palazzo Chigi si rimettono indietro gli orologi. Mario Draghi sposta gli orari sul fuso di Francoforte: il primo lunedì da presidente confermato e con fiducia inizia con un consiglio dei ministri convocato alle 9 e 30. E a spiccare, più che l'ordine del giorno, è proprio l'orario ante meridiem. Con Giuseppe Conte l'appuntamento era spesso alle 9 e 30, ma della sera. Il mattino del governo torna ad avere l'oro in bocca? Sono in molti a chiedersi (e a sperare) che la convocazione in un orario d'ufficio, e non certo monastico, sia il new normal di Draghi. A partire dai ministri: con Conte la regola erano gli appuntamenti che slittavano di ora in ora, dall'aperitivo al dopo cena e spesso direttamente in notturna. Il tutto intervallato da lunghe anticamere, in attesa di mettere d'accordo tutti, inclusi i tempi degli interventi su Facebook che scandivano l'agenda dell'avvocato del popolo. Pare che Teresa Bellanova si fosse pubblicamente lamentata per le sregolate serate contiane. L'occasione sarebbe stata un Consiglio dei ministri, il numero nove dell'ottobre 2019 il cui orario d'inizio da verbale era «23.02». «Conte ci vuole a quest'ora per sfinirci», aveva sbuffato l'ex ministro dell'Agricoltura. E chissà quanti funzionari di Chigi durante il lungo (e rituale) applauso di saluto a Conte che andava via avranno tirato un sospiro di sollievo all'idea di tornare a rivedere le proprie famiglie a cena e magari la partita di champions subito dopo. Di sicuro stappano lo champagne i cronisti in attesa davanti alla sede della presidenza del Consiglio nelle ore più gelide. Tutti contenti, a parte Enrico Mentana, in grado di riempire di parole qualunque ritardo di Conte. La situazione era talmente degenerata che l'Associazione stampa parlamentare e l'Ordine dei giornalisti del Lazio avevano presentato una lamentela formale dopo aver raccolto già a febbraio del 2020, prima dell'emergenza Covid, un corposo dossier di una ventina di Consigli dei ministri e vertici rigorosamente presentati come «decisivi» fissati tutti ben dopo l'ora di Carosello: il 22 ottobre 2019 incontro finito alle 23 e 22, il 13 dicembre appuntamento per il salvataggio della Banca popolare di Bari alle 22 e 15. Nel 2020 stesso andazzo, con un incontro alle 21,30 per discutere (invano) del cuneo fiscale e avanti così. E, oltretutto, all'epoca i vertici finivano puntualmente con rinvii causati, dice un grillino di peso, «dalle continue mediazioni di Conte». Finché non è arrivata la pandemia. A quel punto è toccato a tutti gli italiani sincronizzarsi sul fuso di Volturara Appula. Conte annunciava la conferenza stampa alle 19,30 o alle 20, giusto in tempo per annunciare all'ora del tg le regole che chiudevano tutti in casa, e poi si presentava in tv e su Facebook alle 22 mandando ai matti i direttori dei telegiornali. Ma erano altri tempi: il premier con la pochette era diventato il salvatore d'Italia e tutti sopportavano in silenzio. «Non si può fare altrimenti, troppe agende da coordinare», si rispondeva da Palazzo Chigi a chi provava a obiettare. E invece, a quanto pare, si può fare. Il vero auspicio ora è che vadano in prescrizione altre cattive abitudini del primo e del secondo Conte: i disegni di legge approvati «salvo intese», i Dpcm al posto dei decreti, le slide al posto delle norme, i testi che cambiavano continuamente e che circolavano in bozze che si smentivano a vicenda. Davvero era tutto inevitabile? Una cosa è certa.

Draghi sa che anche sui tempi ha gli occhi addosso, come ha dimostrato promettendo nel discorso sulla fiducia in Senato di annunciare i cambi di regole anti Covid con il giusto anticipo. E in fondo la missione impossibile che gli è stata affidata è anche una questione di orologi: far suonare la sveglia al Paese.

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