È dura la vita di chi vuole fare l'ago della bilancia. Sì, perché tra le ambizioni di Angelino Alfano, leader di Ap, e i risultati elettorali del suo partitino c'è una distanza siderale, quasi comica se non si trattasse dell'attuale ministro degli Esteri. L'ex ragazzo senza quid (copyright Berlusconi) si era messo in testa di diventare indispensabile, per qualsiasi maggioranza. E di svuotare il centrodestra. Così, passando da un ministero all'altro, dal Viminale alla Farnesina, sempre con il ruolo di stampella del Pd, si era pure convinto di avere dei voti, dato il prestigio dei ruoli ricoperti. In Sicilia, sua terra di nascita, forte dell'appoggio di un manipolo di colonnelli locali come Giuseppe Castiglione e Gianpiero D'Alia, pensava di possedere una sorta di feudo inespugnabile.
Ma già a partire da ieri mattina, Angelino si è svegliato dal suo sogno, fatto di poltrone e prebende. Alleanza Popolare, in Sicilia raccoglie solo il 4%. Alfano non è ago della bilancia nemmeno a casa sua. E pensare che ci credeva davvero. Il 16 novembre 2013, poco prima della cacciata di Berlusconi dal Senato, con il suo partitino nuovo di zecca, Alfano fa lo sbruffone: «Abbiamo 30 senatori e 27 deputati». Quasi tutti in fuga da Forza Italia. Il 15 marzo 2014, durante un incontro a Torino per la campagna elettorale delle europee, un'altra variazione sul tema. Con attacco al Berlusconi disarcionato: «Forza Italia non è né carne né pesce, votare per loro è inutile». Intervista al Secolo XIX di Genova, è il primo aprile del 2014. Berlusconi sta per essere condannato alla damnatio memoriae (non riuscita) e ai servizi sociali. Al governo c'è Matteo Renzi e il Pd si prepara al 40% delle europee di maggio. Alfano dichiara: «Noi siamo il centrodestra, Silvio non attira più». Prima previsione sbagliata. E poi: «Siamo un movimento fresco, abbiamo 120mila iscritti e 12mila circoli, noi siamo decisivi». Secondo errore. Infine Alfano smentisce se stesso: «Non ci saranno sicuramente intese con la sinistra».
Salto temporale, intanto Angelino è sempre al governo con Renzi. Il nostro, il primo marzo del 2015 si fa intervistare dal Messaggero. E dice: «Noi abbiamo una grande forza, siamo decisivi sia per la tenuta del governo, sia perché l'area moderata e di centro non finisca sotto Salvini». Il 5 ottobre del 2015, a Ragusa a margine della firma del «patto per la legalità», il copione alfaniano è sempre lo stesso: «Siamo determinanti e decisivi». Dopo meno di un anno, il 14 luglio del 2016 durante un'assemblea del gruppo di Ap al Senato, Alfano si lancia in una nuova intemerata: «Senza di noi il governo non ha la maggioranza, con noi può prescindere da tutti». Il 4 giugno del 2017, parlando con il Corriere della Sera, il ministro degli Esteri dice di non aver paura dello sbarramento: «La questione della soglia non è un problema, non abbiamo difficoltà». Nello stesso periodo, il 12 giugno, dopo il naufragio dell'accordo sulla legge elettorale «alla tedesca» Alfano diceva a Repubblica: «Puntiamo a essere decisivi nel prossimo Parlamento. Impedire altri inciucellum, per esempio, è più importante del destino di ciascuno di noi».
Dulcis in fundo, le smargiassate prima del voto in Sicilia, quella che pensava fosse la sua roccaforte.
Settembre 2017: «Il nostro eurodeputato Giovanni La Via sarà vicepresidente in ticket con Micari» e ancora «abbiamo capilista importanti» e «faremo della Sicilia una zona franca fiscale per ridare quanto subito in tema di immigrazione». I sogni son desideri, ma spesso non si avverano.
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