Guido Crosetto, ex sottosegretario alla Difesa e imprenditore, già fondatore con Giorgia Meloni e coordinatore nazionale di Fratelli d'Italia. Sul disastro libico parla chiaro.
Abbiamo perso la Libia?
«Spero di no, ma in questo momento sembriamo non avere alcun ruolo importante. Nessuna delle due fazioni ci considera l'interlocutore privilegiato».
Come è potuto accadere?
«L'origine di tutti i mali è stata la guerra contro Gheddafi. E dopo è mancata totalmente una chiara strategia».
Turchi e russi ci hanno fregato?
«Loro decidono e sanno cosa vogliono. Agiscono senza perdere tempo in maniera spregiudicata. Il termine real politik racchiude una visione politica e poi il perseguimento di questa visione anche con la forza, l'intelligence, i soldi. Tutti gli strumenti di uno Stato nella difesa dell'interesse nazionale».
Quali sono stati gli errori degli ultimi governi?
«La politica è stata miope e indecisa, ma pure i servizi, le Forze armate, gli Esteri sono risultati troppo flebili nel far sentire la loro voce».
Abbiamo sbagliato a sostenere il governo di Serraj, ma ammiccare anche al generale Haftar?
«Non avremmo sbagliato se l'obiettivo fosse stato quello di spaccare la Libia in due. In questo caso avremmo dovuto fare buon viso con entrambi, ma la divisione del Paese è il nostro obiettivo? E in ogni caso i libici non si accontentano di una pacca sulla spalla. Si aspettano aiuto economico, militare, logistico, infrastrutturale. Pensavamo che non prendere posizione ci aiutasse. Altri hanno preso posizione e se domenica ci sarà la tregua turchi e russi raccoglieranno i frutti».
Tutto è iniziato con il flop della conferenza di Palermo voluta dal governo Conte I?
«Non si può pensare di risolvere la crisi libica con una conferenza o un incontro costruito ad hoc per i mass media e per la photo opportunity. Il dossier bisogna seguirlo giorno per giorno con tutti gli attori: non solo i ministri, ma anche l'economia, i servizi, le grandi imprese come l'Eni. La politica estera è semina, attesa, lavoro duro, non spot».
Un altro problema è che in Libia utilizziamo i soldati per fare le crocerossine?
«Sarebbe utile se fosse stato solo una parte della missione. Tutto quello che serviva militarmente avremmo avuto la possibilità di farlo informando il Parlamento. Sono mancate le scelte politiche chiare e la volontà di perseguirle».
Ci siamo preoccupati solo di fermare i migranti e poco della Libia?
«Ho sempre detto che non si poteva affrontare il nodo migranti esulando dal caos libico. Non sbarcano dal nulla, ma dall'instabilità libica. Prima (con Gheddafi, ndr) non arrivavano».
Anche l'Eni rischia di venire scalzata dalla sua posizione storica?
«Penso di no, anche se russi e turchi non intervengono perché sono benefattori».
Stiamo assistendo a una Caporetto geopolitica. Luigi Di Maio è all'altezza come ministro degli Esteri?
«Mi sono sempre rifiutato di scaricare la colpa su Di Maio. La politica internazionale non viene fatta solo dagli Esteri, ma con il sistema Paese e un governo intero».
L'errore è credere solo nel dialogo e nell'Europa?
«L'Europa è sempre stata divisa e farla intervenire è dura soprattutto nel momento in cui Francia e Inghilterra vanno per conto loro. Se puntiamo sul dialogo si poteva chiedere alla Nato cosa pensava del movimentismo turco. Non puoi fare l'alleato a Roma e il nemico a Venezia».
Dopo l'ultima figuraccia diplomatica di Conte con Serraj che non si presenta a Roma perché c'è Haftar cosa possiamo fare?
«Non capisco come sia potuto
accadere, ma significa che la struttura non ha funzionato. Adesso bisogna recuperare. Quando il gioco si fa duro non contano le conferenze, ma i rapporti singoli. Usiamo ogni arma che abbiamo lasciando da parte i guanti».
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