Cronache

Quasi 300 arresti a Hong Kong nel giorno del voto che non c'è

Spray urticanti per disperdere la folla. Anche uno dei leader della protesta in manette: "Semina sedizione"

Quasi 300 arresti a Hong Kong nel giorno del voto che non c'è

La scusa è il Covid. Per questo ieri a Hong Kong non si è votato come si doveva, come era deciso. Colpa del Covid, dice il regime di Pechino, che potrebbe uccidere, è per il vostro bene che non si vota, quindi niente elezioni, rimandate di un anno, poi si vedrà.

Per questo sono scesi ancora in piazza i ragazzi di Hong Kong, nipotini di Piazza Tienamen, per ricordare che ieri si doveva votare e invece non si vota, perchè la Cina, non il Covid, non vuole che l'ex colonia britannica dica la sua, contraria in tutto e per tutto a quella di Pechino. Per questo c'è la nuova legge sulla sicurezza, che permette, come ha fatto ieri, di mettere le manette a 289 di quei ragazzi in piazza, anche se la polizia dice che sono solo 90.

Scrive il South China Morning Post che la giornata si è fatta calda quando la polizia è intervenuta con spray al peperoncino per impedire ai manifestanti di gridare slogan e cantare inni per la libertà e per la democrazia: secondo la nuova normativa gridare e cantare è una minaccia alla sicurezza nazionale. Non si può.

Per capire di cosa stiamo parlando nel testo della legge, articolato in sei capitoli da 66 articoli, sono previste quattro categorie di reati: secessione, sovversione, terrorismo e collusione con un Paese straniero o elementi stranieri che possano mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Cosa che dice rtutto e niente. La pena massima per ogni reato è l'ergastolo, se ti va bene, per alcuni reati minori, te la puoi cavare con tre anni di reclusione. nei casi più gravi i ribelli, a discrezione dei magistrati, potranno essere estradati in Cina. E lì può succedere qualunque cosa. Le cronache raccontano che centinaia di poliziotti antisommossa sono intervenuti nel distretto di Kowloon per contrastare i «flash mob» convocati online. La maggior parte degli arrestati ha spiegato la Polizia su Facebook, è accusata di «assembramento illegale». Cioè di non essere d'accordo con il regime.

Intanto la caccia ai leader all'opposizione o alle figure carismatiche antiregime possono non finisce mai. Ieri per lo stesso motivo, «aver pronunciato discorsi sediziosi», a finire in manette è stato Tam Tak-chi, vicepresidente del partito democratico radicale People Power, un ex conduttore radiofonico soprannominato «Fast beat».

Gli agenti della neonata squadra per la sicurezza nazionale lo hanno prelevato dalla sua abitazione nella zona nord-orientale dell'ex colonia britannica e portato in galera. Il copione sempre lo stesso: la polizia ha precisato che l'arresto non è stato eseguito in base alla nuova legge sulla sicurezza ma in base all'articolo 10 del codice penale della legislazione coloniale britannica che punisce le dichiarazioni anti-governative. Non per una legge bavaglio dunque ma per un'altra.

Tam, secondo l'accusa, quest'estate avrebbe pronunciato discorsi di «odio e riprovazione» verso il governo che «hanno seminato malcontento e disaffezione nella popolazione». Per la Cina non si può fare. A intervenire in questo caso è stata l'unità per la sicurezza nazionale, decisa ad accusare il ragazzo anche del ben più grave «incitamento alla secessione». La manifestazione di ieri in ogni caso ha raccolto oltre 10mila adesioni online. Con o senza il sostegno del mondo i ragazzi di Hong Kong non si arrenderanno.

Il segreto della libertà è il coraggio.

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