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Quei governi senza maggioranza: tutti i casi nella storia della Repubblica

Da Pella a Fanfani, da Zoli a Tambroni: sono diversi i governi della Prima Repubblica varati andati avanti per mesi senza che avessero la maggioranza in Parlamento

Quei governi senza maggioranza: tutti i casi nella storia della Repubblica

Subito dopo il voto del 4 marzo, in attesa di capire come si svilupperanno le trame della politica italiana (visto che nessuno, di fatto, ha la maggioranza per governare il Paese), può essere utile fare un salto indietro nella storia. Scopriamo, così, che alcuni governi sono andati avanti pur senza avere una maggioranza in parlamento. Nella storia della Repubblica se ne contano diversi. Entrarono in carica senza disporre dei numeri necessari e per un po' andarono avanti. In che modo? C'erano due sistemi ben collaudati: ci si poteva basare sull'astensione o sull'assenza di un numero decisivo di parlamentari.

Di fatto si trattava di governi di minoranza, la cui vita, per ovvie ragoni, non era lunga. Si tirava a campare per qualche mese, massimo un anno. Erano governi monocolore espressione della Dc, partito di maggioranza relativa. Particolare da non sottovalutare: anche se questi governi non disponevano di una maggioranza, ne avevano una implicita, basata sul fatto, come dicevamo prima, che alcuni parlamentari si impegnavano ad abbandonare l'aula o ad astenersi nel momento opportuno. Di fatto, quindi, per reggere questo meccanismo c'era comunque un accordo politico.

Ripercorriamo brevemente la storia di questi governi. Il primo fu guidato da Giuseppe Pella, già ministro delle Finanze e poi al Tesoro e Bilancio nei governi De Gasperi. Il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che era stato suo professore di Economia all'Università di Torino, gli conferì l'incarico sottolineandone la provvisorietà. Il suo unico scopo era approvare la legge di bilancio, che all'epoca si doveva votare entro il 30 ottobre. Lui svolse diligentemente il compito dal 17 agosto 1953 al 18 gennaio 1954. In realtà si registrò qualche "turbolenza" intorno all'esecutivo. Pella, che aveva assunto l'interim degli Esteri, si scontrò duramente con il presidente jugoslavo Tito, che minacciava di invadere Trieste se gli anglo-americani avessero affidato il controllo della "Zona A" all'Italia. Il capo del governo italiano reagì minacciando di mandare le truppe al confine. La destra gradì questo orgoglio nazionalista, la sinistra lo mise in croce. La Dc preferì smussare i toni per non esacerbare il dissidio.

Amintore Fanfani guidò un altro monocolore Dc dal 18 gennaio al 10 febbraio 1954. Un vero e proprio record, in negativo, come numero di giorni: appena 23. Così pochi perché, pur avendo giurato al Quirinale, il politico aretino non ottenne la fiducia. Ce la fece, invece, Mario Scelba, che riuscì a formare un esecutivo centrista basandosi sul sostegno di Giuseppe Saragat (leader del partito socialdemocratico nato dalla scissione socialista di Palazzo Barberini del 1947). Dal 10 febbraio Scelba tirò avanti fino al 6 luglio 1955.

Un altro democristiano, Adone Zoli, guidò Palazzo Chigi restandovi dal 19/11/1957 al 1° luglio 1958. Il Paese viveva una fortissima crisi d'instabilità e così il Presidente della Repubblica Gronchi si convinse della necessità di far partire un "governo del presidente", a guida democrsitiana, che si sarebbe dovuto dimettere subito dopo le elezioni politiche del 1958. Zoli vi riuscì grazie anche al voto del Msi e dei monarchici. Per placare le polemiche degli antifascisti disse che "i voti missini non sono validi ai fini della maggioranza". La sua maggioranza, quindi, aveva solo un voto di scarto. ma i conti si dimostrarono sbagliati e i deputati della fiamma tricolore risultarono invece determinanti. Così Zoli si dimise.

Seguì un esecutivo presieduto da Antonio Segni, che rimase in carica dal 15/2/1959 al 25/3/1960. In questo caso a tenerlo in piedi furono i voti del Pli dei monarchici (Pnm e Pmp) e quelli del Msi. Il politico sardo fu costretto alla resa perché la linea della Dc a guida Moro e Fanfani fece sì che i partiti di destra decidessero di togliergli l'appoggio.

Fernando Tambroni ricevette il mandato dal Capo dello Stato Giovanni Gronchi e governò l'Italia dal 25 marzo al 26 luglio 1960. In questo caso la Dc si giovò dell'astensione delle destre (Msi e Pdi). Lo scopo dichiarato era gestire l'emergenza, in vista delle Olimpiadi in programma a Roma in agosto, e approvare il bilancio. Alla Camera Tambroni ottenne una fiducia molto risicata, solo 300 sì e 297 voti contrari. Decisivo, in quel caso, fu il sostegno dei missini. Questo fatto, mai avvenuto prima, creò un polverone enorme e indusse tre ministri (della sinistra Dc) a dimettersi. Dopo pochi giorni Tambroni si dimise e Gronchi assegnò l'incarico a Fanfani. Il politico toscano tuttavia non riuscì a trovare il bandolo della matassa e così il Presidente ella Repubblica chiese a Tambroni di presentarsi al Senato, per completare l'iter della fiducia. Che ottenne, con 128 sì e 110 no, anche stavolta grazie all'apporto decisivo della fiamma tricolore. I gravi scontri di Genova, dove le sinistre scesero in piazza contro il congresso del Msi, e la protesta che divampò in tutto il Paese, culminata con l'uccisione di cinque manifestanti a Reggio Emilia, creò una confusione tale da indurre il Msi a votare contro la legge di bilancio. Tambroni provò a resistere ma dovette farsi da parte.

Gli succedette Fanfani, che tornò a governare l'Italia con un monocolore Dc che resse grazie all'astensione dei socialisti e dei monarchici: si barcamenò per un periodo più lungo del solito, dal 26 luglio 1960 al 21 febbraio 1962. Fu, questo, un periodo particolare per l'Italia, perché Psi e Dc stavano lavorando per mettere in campo un esecutivo di centrosinistra, che sarebbe nato poco dopo. Quello di Giovanni Leone fu l'ultimo governo monocolore Dc degli anni Sessanta, prima dell'avvento del centrosinistra.

Fiaccato dal risultato poco esaltante alle Politiche, Fanfani si dimise e il Capo dello Stato Segni affidò l'incarico ad Aldo Moro, segretario Dc, che avrebbe voluto far partire il primo governo di centrosinistra (Dc-Psdi-Pri), con l'appoggio esterno del Psi. I socialisti, però, fecero saltare il tavolo e l'accordo con Pietro Nenni dovette aspettare. Moro rinunciò alla poltrona e al suo posto sedette Giovanni Leone. Restò in carica dal 21/6/1963 al 4/12/1963. Il tempo necessario per limare i contrasti con il Psi e lanciare il primo vero e proprio centrosinistra della storia della Repubblica.

Seguirono altri governi monocolore Dc: Mariano Rumor (5 agosto 1969-27 marzo 1970), Giulio Andreotti (17 febbraio 1972-26 giugno 1972), Aldo Moro (12 febbraio 1976-29 luglio 1976). Ci fu quello del "compromesso storico", che sancì l'appoggio esterno del Pci al governo Dc (sempre a guida Andreotti). Restò in carica dall'11 marzo 1978 al 20 marzo 1979). Un periodo tragico per la Repubblica, che vide il sequestro del presidente della Dc, Aldo Moro, ad opera delle Brigate rosse, e la sua uccisione dopo 55 giorni di prigionia.

Per uno strano scherzo del destino (o forse proprio per puro calcolo) il rapimento di Moro avvenne il 16 marzo, giorno in cui era prevista la presentazione del nuovo governo.

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