Quei sottosegretari indagati che il premier non caccia

Il sindaco di Roma è stato silurato senza complimenti, ma agli amici che sono nell'esecutivo è stato riservato ben altro trattamento. Dalla Barracciu a Castiglione, ecco le mele "bacate"

Quei sottosegretari indagati che il premier non caccia

Furbo Renzi. Marino cade in disgrazia e il premier se ne libera come se fosse una zavorra: «Al punto in cui eravamo non c'erano più alternative. E dunque credo che Marino abbia fatto bene a dimettersi» dice nella sua rubrica fissa sull' Unità . La «mela Marino» è marcia? Matteo la piglia e la butta via con ribrezzo: così appare come il moralizzatore, l'intransigente uomo dalle mani nette che allontana - o esulta per l'allontanamento - gli uomini su cui si allungano ombre e sospetti. Peccato che, in ragione di un bieco opportunismo politico, Renzi lasci nel cestino del governo altre mele presunte bacate; e non tocchi altre pedine che proprio linde non paiono essere. Posto che il garantismo vale per tutti e quindi sono tutti innocenti fino al termine del terzo grado di giudizio, qualcosa non quadra sul metro di giudizio del premier: Marino (che non è indagato) è bene che si levi di torno. Ma il sottosegretario all'Agricoltura Giuseppe Castiglione, uomo di Alfano e indagato dalla Procura di Catania sull'appalto per la gestione del Cara di Mineo? Sulla testa di Castiglione, che continua a ribadire la sua completa estraneità ai fatti contestategli, in giugno s'è abbattuta anche la spada di Damocle di alcune mozioni parlamentari di censura. Risultato? Il Pd di Renzi le ha bocciate tutte. Il commento furioso del capogruppo alla Camera di Sel è il seguente: «Il Pd salva Castiglione per salvare il governo».

Francesca Barracciu, invece, è del Pd. Anche lei comoda sulla poltrona del ministero dei Beni culturali come sottosegretario. E anche lei indagata per peculato aggravato nell'ambito dell'inchiesta sui fondi sui gruppi consiliari della Regione Sardegna. Marino è scivolato su degli scontrini il cui importo totale arriva a meno di mille euro; alla Barracciu contestano rimborsi sospetti che ammontano a 67mila euro ma lei resta al calduccio al governo. Due pesi e due misure? È la stessa domanda posta al premier quando diede un calcio nel sedere al ministro Lupi che non ricevette alcun avviso di garanzia inciampando, però, su un Rolex e un abito sartoriale del proprio figliolo. Renzi lo scaricò con perfidia: «Ci si dimette per questioni di opportunità politica o per una condanna definitiva, non per un avviso di garanzia», disse in difesa della Barracciu.

Paola Barracciu

Benissimo. Ma allora il ragionamento dovrebbe valere per tutti; anche per il ministro del Lavoro Giuliano Poletti che non è indagato ma in una celebre foto del 2010 è attovagliato assieme a Salvatore Buzzi, numero uno della cooperativa «29 giugno» al centro dell'inchiesta Mafia Capitale e assieme a Luciano Casamonica, cugino del boss del clan omonimo. Inguaiato per via di alcuni francobolli è invece un altro membro del governo, il piddino Vito De Filippo. Anche lui è sottosegretario (alla Salute) ma resta lì nonostante sia stato condannato a gennaio 2015 dalla Corte dei Conti a risarcire 2.641 euro di danni prodotti in seguito all'uso indebito di fondi per spese di rappresentanza di quando governava la Basilicata.

Ombre e sospetti anche per un altro renzianissimo, pure lui sottosegretario in carica al ministero dell'Istruzione: Davide Faraone. Indagato nel 2014 nell'ambito di una inchiesta sui rimborsi delle spese dell'Assemblea regionale siciliana, la sua posizione poi è stata archiviata dalla procura di Palermo. Nessuna spesa pazza. Ma altre ombre lo colpiscono: un'informativa dei carabinieri lo tira in ballo in una riunione pre elettorale a casa del custode dell'arsenale dei boss Lo Piccolo, Agostino Pizzuto, cui partecipò proprio il piddino Faraone.

Lui respinge tutte le accuse: «Una campagna di fango costruita ad arte da poteri forti che in questi 10 anni hanno gestito la città attraverso un sistema politico-affaristico-mafioso». La stessa tesi di Marino. Ma per Renzi i pesi sono due e le misure anche.

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