Quanti danni può creare il correntismo è dimostrato dalla storia del Pd. Citofonare Romano Prodi o Enrico Letta, solo per citare i casi più clamorosi. E oggi il M5s è ormai sempre più in preda a una malattia molto simile, perché è vero che tutto passa dalla Casaleggio Associati, ma il monolite dei tempi di Beppe Grillo ha lasciato il posto a una formazione sfarinata, in cui la leadership di Luigi Di Maio non è più considerata un must, è così anche la sua linea a favore dell'alleanza gialloverde. Il sostegno incondizionato all'autoproclamato «governo del cambiamento» è infatti sempre più motivo di incomprensioni e insofferenze politiche e personali all'interno del Movimento. Il paradosso, però, è che nessuna delle persone che qui o lì alzano il dito per contestare la linea ufficiale riesce mai a ottenere un qualche risultato. Insomma, si evidenzia un dissenso ma senza sortire alcun effetto pratico. Se non quello di guadagnare qualche titolo di giornale.
Prendiamo, per esempio, l'ultimo scontro tra Vincenzo Spadafora e Matteo Salvini e quell'accusa di fomentare il sessismo che non è certo una frase dal sen fuggita, trattandosi di un'intervista a Repubblica. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle Pari opportunità è considerato un fedelissimo di Di Maio e questo rende legittimo ipotizzare che la sua sortita null'altro sia stato se non un gioco delle parti. D'altronde, non è la prima volta che Spadafora apre fronti polemici con la Lega: basti pensare allo scontro con il ministro Lorenzo Fontana sulle famiglie arcobaleno e la sua bordata contro la legge Pillon sull'affido condiviso. Questa volta, però, colpito direttamente Salvini, è finita con Di Maio che ha buttato la polvere sotto il tappeto invitando la maggioranza a occuparsi di cose più serie.
Il fatto è che le cose non cambiano molto nemmeno se si va a guardare la corrente che fa capo al presidente della Camera, Roberto Fico. Le sortite anti Salvini del numero uno di Montecitorio non si contano, eppure nella pratica non è mai riuscito a segnare un punto a suo favore. In occasione del primo decreto sicurezza, infatti, un gruppo di deputati a lui vicini mandò ai vertici del Movimento una lettera per chiedere maggiore dibattito sul provvedimento. Com'è finita? Che alla fine gli emendamenti in dissenso sono stati ritirati e la «corrente» dei fichiani al massimo è arrivata a non prendere parte al voto. Uno schema simile si sta ripetendo sul decreto Sicurezza bis, tanto che alcuni emendamenti meno punitivi verso le Ong di Luigi Gallo e Doriana Sarli sono stati subito disconosciuti e declassati a «iniziativa a titolo personale». Infine c'è l'area che fa capo ad Alessandro Di Battista, il volto movimentista del M5s. Ma la sua più che una corrente è una partita personale con Di Maio, decisamente in fase calante dopo la batosta delle Europee.
Di Battista sa bene che quando si arriverà allo show down potrebbe essere lui il nuovo frontman del M5s e quindi aspetta pazientemente.Insomma, tante correnti e tanto rumore per nulla. In attesa che Casaleggio decida le sorti di un partito la cui involuzione non accenna ad arrestarsi.
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