Quell'esercito di "angeli" che aiuta l'Italia a rialzarsi

I soccorsi ormai sono una grande macchina dello Stato La buona volontà non basta: stop a chi si improvvisa

Quell'esercito di "angeli" che aiuta l'Italia a rialzarsi

Gli «Angeli del fango» è diventato un marchio di straordinaria efficacia, riciclato all'infinito per ciascuna delle purtroppo numerose catastrofi naturali che hanno colpito l'Italia dall'alluvione di Firenze '66 a oggi. Ci fu una straordinaria mobilitazione spontanea di gente accorsa da tutta Italia. Scene che abbiamo visto a ripetizione nei telegiornali. Ma nel frattempo lo Stato si è organizzato mettendo a frutto anche quell'esperienza. La Protezione civile coordina un ampio numero di associazioni locali e nazionali che sono per la quasi totalità comunque composte da volontari, ma organizzati e inquadrati in un sistema dotato di regole ben precise, messe nero su bianco con appositi decreti. I quali hanno previsto anche l'utilizzo di risorse per finanziare la formazione dei volontari, la riparazione o sostituzione di mezzi che dovessero riportare danni durante le missioni, il rimborso delle spese sostenute dai volontari e il risarcimento dei loro datori di lavoro per i giorni impiegati sul luogo delle catastrofi anziché negli uffici o nelle fabbriche.

Questo meccanismo non toglie nulla alla generosità degli italiani di fronte alle tragedie collettive che colpiscono periodicamente alcune aree del Paese, basti pensare che di associazioni di soccorso in Italia ce ne sono 4.500 e contano 600mila iscritti. I volontari restano tali e non percepiscono una vera retribuzione, ma solo rimborsi a fronte di spese giustificate e controllate da un apposito ufficio della Protezione civile. Secondo un meccanismo che continua ad appoggiarsi sui volontari, ma ha ricondotto nelle mani dello Stato, come è giusto che sia, la gestione di una macchina del soccorso che ha bisogno di buona volontà e sacrificio, ma anche di competenze, addestramento e dotazioni tecniche. Il Dipartimento, in caso di emergenza, allerta le colonne mobili costituite dalle associazioni di volontariato locali coordinate da ciascuna Regione e quelle nazionali, 42 in tutto, che sono iscritte al cosiddetto elenco centrale, vedi Associazione nazionale alpini o Anpas. L'Italia può contare dunque su 2-300.000 volontari che hanno una formazione specifica, compresi quelli messi a disposizione da singole categorie per offrire gratuitamente le proprie competenze, come di recente hanno fatto i farmacisti e gli assistenti sociali. Non c'è business, perlomeno per i singoli volontari: la Protezione civile per questa macchina imponente spende due milioni di euro negli anni normali e circa il doppio negli anni sfortunati come il 2016. Le associazioni devono anticipare il denaro e i rimborsi arrivano dopo parecchi mesi.

Eppure il cliché romantico degli angeli del fango che tanto ci piace raccontare e raccontarci, è almeno in parte un ricordo del passato. Un ricordo ingombrante, perché ora che c'è una struttura organizzata lo spontaneismo rischia di creare più di qualche problema. «Ancora oggi - racconta Massimo La Pietra, che da ormai quindici anni coordina il volontariato al Dipartimento di Protezione civile - capita che tanti si mobilitino in autonomia e per noi spesso diventa un ostacolo. Anche perché nei teatri delle catastrofi vige una regola: non bisogna doversi preoccupare di soccorrere i soccorritori». Cosa che invece avviene puntualmente durante i disastri naturali che fanno più notizia. A Genova, dopo l'alluvione del 2014, almeno cento soccorritori dovettero ricorrere a cure mediche. «Arrivava gente in infradito a dare una mano - incalza La Pietra- ma non si scava nel fango col secchiello, né senza avere indumenti e attrezzatura adeguati».

Scene simili si sono ripetute anche nei primi giorni dopo il terremoto di Amatrice, per fortuna senza gravi conseguenze fisiche per i soccorritori, ma non senza creare intralcio alle operazioni di soccorso. Tanto che il capo della Protezione civile Fabrizio Curcio dovette lanciare un appello: «Grazie ma basta». Tanta generosità ma anche qualche caso di presenzialismo.

«Col boom dei social - denuncia La Pietra - capita di veder spuntare sulle pagine Facebook di alcune associazioni filmati in cui si magnificano le imprese sul luogo dei disastri o magari ci si fa i selfie davanti alle macerie. Se ci sono atteggiamenti di questo tipo la Protezione civile interviene».

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