Sarà l'aria frizzante delle elezioni ormai alle porte, ma per una volta il Pd non si scontra al suo interno e dà un sostanziale via libera collettivo alla linea del segretario.
Dopo quattro ore di riunione, Matteo Renzi esce dalla Direzione dem (a porte chiuse, come è ormai consuetudine) soddisfatto: «Abbiamo tolto di mezzo molti alibi». La sua linea passa quasi all'unanimità, con una manciata di astensioni tra cui quella del ministro Orlando, che però «apprezza». E commenta duramente l'attivismo di Laura Boldrini e Pietro Grasso: «abbiamo creato due mostri».
Gli anatemi che arrivano dai soliti Bersani e D'Alema («Le chiacchiere stanno a zero, Renzi non è più credibile, o abiura Jobs Act o non ci parliamo neanche») non lo stupiscono né lo inquietano più di tanto: il leader del Pd sa bene, come spiega un suo fedelissimo, che «Mdp e l'operazione Grasso sono nati con un solo programma politico: togliere voti al Pd, per far perdere Renzi e vincere i suoi avversari: che siano Berlusconi e Salvini o Grillo e Di Maio per loro conta relativamente».
Dunque, tentare di fare un «centrosinistra largo» con dentro gli scissionisti di Mdp è un progetto che nessuno, nel Pd, può seriamente perseguire. Se non retoricamente, come fa il nostalgico Gianni Cuperlo: «Dobbiamo crederci, ricucire. Se lo faremo tu uscirai da questa storia come il segretario che non ha interrotto un'esperienza». L'obiettivo di Renzi però è un altro: «togliere ogni alibi» agli scissionisti, dicendosi disposto a riaccoglierli a braccia aperte, e gettare ponti invece a quella parte della sinistra più disposta a dialogare con il Pd, a cominciare da buona parte del movimento di Giuliano Pisapia, che è profondamente diviso al suo interno sui rapporti con lui.
«Chi vorrà rompere lo dovrà fare in modo trasparente e chiaro perché da noi non troverà alcuna sponda», avverte il segretario, restituendo il cerino ai bersanian-dalemiani. Ai quali manda messaggi volutamente bonari: «Anche con le persone da cui siamo stati divisi - dice - c'è più sintonia che con gli avversari storici, non solo perché governiamo insieme in 14 regioni ma perché molte cose le abbiamo fatte insieme». Non sarà dunque il Pd, insiste, «a mettere veti e paletti alla coalizione». Se vogliono rompere, se ne prendano la responsabilità, «noi siamo aperti al confronto». Senza però, sottolinea, «abiurare» alle scelte del suo governo, dal Jobs Act alle altre riforme «che hanno rimesso in moto» il paese: «Sulla rivendicazione del passato non faremo alcun passo indietro». E intanto incassa il sostegno di Enrico Letta, che dice «Mi aggiungo a Veltroni e Prodi contro la spaccatura del centrosinistra».
Il Pd però guarda ad altri: «Credo che sia cruciale che sia coinvolta l'area moderata, così come i Verdi, Idv e i Radicali con i quali c'è una discussione non scontata né chiusa. Poi vogliamo il dialogo a sinistra, in primis con Campo progressista (Pisapia, ndr), cui lanciamo parole di dialogo e disponibilità».
Proprio ieri, prima della Direzione, Renzi ha incontrato una delegazione dei Radicali, guidata da Emma Bonino e Benedetto Della Vedova. Si è discusso di ius soli e testamento biologico, che sono due riforme che stanno molto a cuore ai pannelliani, che hanno registrato la disponibilità del Pd a «fare il possibile» per approvarle entro la fine della legislatura. E l'ipotesi di una lista boniniana «Forza Europa» alleata al Pd ieri sera sembrava aver preso più quota, tanto che si è discusso anche delle difficoltà tecniche per presentarla, visto che il Rosatellum - molto criticato da Bonino - imporrebbe la raccolta di almeno 50mila firme.
Intanto mettere insieme gli anti Pd si rivela un'operazione assai complessa: ieri si è spaccata persino la cosiddetta «corrente del Brancaccio», che pure è costituita da due soli individui: il critico d'arte
Montanari e la ex Psi Falcone. Causa divergenze interpersonali (e scarsità di posti in lista), hanno disdetto l'assemblea che avrebbe dovuto sancire la loro candidatura in Mdp, dichiarando «impossibile» l'unità della sinistra.
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