Renzi costretto a subire il boomerang dei gazebo

E arriva il siluro dell'ex sindaco Marino a Roma: «Non partecipo alla farsa, non votate»

Laura CesarettiRoma Nel giorno in cui a Milano i democrat fanno la fila per votare alle primarie (con le consuete polemiche sul voto cinese), a Roma rispunta - come l'ombra di Banquo - l'ex sindaco Ignazio Marino. «Non parteciperò alla farsa e non andate a votare», tuona, rispondendo (con qualche settimana di ritardo) all'invito che il principale candidato romano del Pd, Roberto Giachetti, gli aveva rivolto. Le ragioni di Marino sono, per così dire, personali: «Io nel 2013 ho partecipato e vinto le primarie, ma il Pd non ha mantenuto il patto perché mi ha mandato a casa». Ergo, niente bis, anche se l'ex sindaco continua ad accarezzare l'idea di ripresentarsi come indipendente per cercare di far perdere il Pd.La vicenda che portò alla sua defenestrazione è un po' più complessa di come Marino la racconti, ma sta di fatto che lo strumento primarie ha fatto parecchie volte cilecca, e spesso si è trasformato in un boomerang per i leader del Pd: basti ricordare le numerose sconfitte inanellate dai candidati promossi da Roma (in era Veltroni e Bersani) e i problemi che lo stesso Renzi ha registrato nei suoi due anni da segretario. Tanto che, all'indomani delle ultime regionali, fu lui stesso a prendere di petto il problema: «Una cosa è certa: le primarie sono in crisi. Dipendesse da me, la loro stagione sarebbe finita». Bruciavano le vicende della Liguria (con la Paita, candidata imposta dal Pd locale, e con la scissione velenosa di Cofferati), ma anche le vittorie di Emiliano in Puglia e De Luca in Campania, nonché la sconfitta di Casson a Venezia: tutte scelte «in cui io non ho messo bocca» ma che causarono più di uno sconquasso. Renzi aveva promesso una revisione dell'istituto, per renderle meno automatiche e sottrarle al potere dei ras locali, ma la riforma non ha ancora visto la luce. Stavolta il premier ha deciso di occuparsene un po' più direttamente, vista la posta in gioco, e a Milano ha sponsorizzato l'operazione Sala (subito contrastata dalla minoranza Pd, che si è inventata con Pisapia la candidatura di Balzani) e a Roma ha convinto a scendere nell'agone Giachetti (con la minoranza Pd che gli ha spinto a viva forza contro Morassut). Ma lo strumento continua a mostrare i suoi difetti, e persino Marino ha buon gioco a contestarne il fair play. Così come le incertezze sul corpo elettorale continuano a regalare argomenti di polemica agli avversari che vogliono delegittimarle. Il caso dei cinesi a Milano è paradigmatico: «La verità - spiega il segretario milanese del Pd, Pietro Bussolati - è che la percentuale di stranieri che stanno votando alle nostre primarie è persino troppo bassa, in una città multietnica come questa: su 8mila votanti, sabato solo 380 erano non italiani». Il dato finale si conoscerà solo oggi, ma a Milano il controllo sui brogli si è dimostrato alquanto capillare: in diversi seggi, persone che tentavano di votare a ripetizione sono state individuate e bloccate. La polemica però infuria, ingigantita dalle tv e cavalcata (anche a sproposito, come dimostrano le foto false di cinesi in maglietta ai gazebo diffuse dai grillini) dagli avversari politici.

A Roma, dove è ancora vivo il ricordo dei rom in fila per votare e dei pacchetti di voti spostati dai vari protagonisti di Mafia Capitale, il comitato Giachetti è già al lavoro per prevenire nuovi incidenti. Nella consapevolezza che il boomerang primarie va maneggiato con prudenza.

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