Renzi non si sbilancia Il Rosatellum rischia di far cadere il governo

Mdp minaccia di sfilarsi in Aula, mentre la minoranza dem vuole certezze sulle liste

Renzi non si sbilancia Il Rosatellum rischia di far cadere il governo

Il testo è depositato in Commissione, il calendario di massima è stabilito, la maggioranza sulla carta è ampia: Pd, Fi, Lega, Ap. «Saremo leali e responsabili, vogliamo una legge elettorale scritta dal Parlamento e non dalle sentenze», dice l'azzurro Francesco Paolo Sisto.

Eppure, sul cosiddetto Rosatellum (legge elettorale mix di collegi maggioritari e listini proporzionali) continua a gravare una pesante nube di incertezza, e la strada della riforma appare disseminata di trappole. Tanto da far temere addirittura una crisi di governo, per impedirne l'approvazione.

La data segnata in rosso sul calendario è quella del 4 ottobre, giorno in cui si vota in Senato la nota di aggiornamento del Def. Per approvarla serve la maggioranza assoluta dei componenti dell'Assemblea, 161 voti esatti. E Mdp, senza i cui 16 senatori non si raggiunge il quorum, minaccia di non votare per rappresaglia contro una legge elettorale che non vuole. Tanto che ieri il premier Paolo Gentiloni ha preferito rinviare il Consiglio dei ministri, chiamato ad approvare proprio la nota di aggiornamento: «Dobbiamo evitare di dare a Mdp alibi per rompere», dicono nel governo.

Ovviamente gli esponenti bersaniani raccontano di voler alzare il prezzo per ottenere misure «di sinistra» nella Finanziaria: benefici per i poveri, premi per le donne, pensioni d'oro subito per tutti, e chi più ne ha più ne metta. In realtà, però, a Massimo D'Alema e Roberto Speranza della manovra importa poco o nulla: il loro problema è il Rosatellum, che spingerebbe gran parte della sinistra alla coalizione col Pd, e lascerebbe Mdp col cerino in mano. «È una porcheria ai nostri danni - ha detto fuori dai denti D'Alema alla Festa di Sinistra italiana - non possiamo subirla e continuare a reggere il moccolo al governo Gentiloni. Dobbiamo essere pronti a non votargli la fiducia». La linea D'Alema entra in collisione con quella di Giuliano Pisapia, che di crisi di governo non vuol neppure sentir parlare, ma le truppe parlamentari non rispondono all'ex sindaco di Milano.

Ieri il ministro Andrea Orlando, che è andato a bussare alla porta di Mdp per proporsi come mediatore tra il Pd e la sinistra anti-Pd, ha dovuto ammettere che sul Rosatellum lo scontro è insanabile: «Restano delle differenze significative rispetto al tema della costruzione della coalizione e quindi della legge elettorale». E si è augurato che questo non provochi «ricadute sulla maggioranza». Ironia della sorte, la legge elettorale in discussione piace invece assai alla minoranza Pd, almeno a parole, proprio perché incentiva le coalizioni che da quelle parti venivano chieste a gran voce. Renzi però non si fida granché di questi apparenti entusiasmi, e sul Rosatellum non si sbilancia, consapevole che il percorso parlamentare sarà ad alto rischio soprattutto alla Camera, dove - per gli assurdi meccanismi del bicameralismo italico - è previsto il voto segreto. I malumori nel Pd dipendono innanzitutto da una questione: con i collegi (modello Mattarellum) e i listini bloccati, il potere di selezione degli eletti da parte delle segreterie di partito è molto alto.

Nessuna corrente Pd, dunque, è disponibile a votare la legge, nel segreto dell'urna, prima di avere incassato dal segretario un impegno, scritto col sangue, a ricandidare gli uomini di Franceschini piuttosto che di Orlando o di Martina. Intanto sente il bisogno di dire la sua anche il presidente del Senato Grasso, che - con un vero guizzo di originalità - invita a «tener conto degli interessi dei cittadini e non dei singoli partiti».

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