Un renziano contro Renzi. Il segretario del Pd ha scoperto ieri, con qualche divertimento, che contro di lui, nel collegio senatoriale di Firenze, la Casaleggio ha deciso di candidare un tal Cecchi, ex militante Pd e già sostenitore entusiasta delle sue riforme e del Sì al referendum costituzionale. «Mi fa piacere che i Cinque stelle, trovandosi a corto di candidati, prendano i nostri», ironizza a sera, parlando a Radio 101. «Mi spiace per gli elettori grillini che magari ci restano male. A noi non crea nessun imbarazzo: Cecchi, come altri ex Pd, sembra uno di quei giocatori che non ce l'hanno fatta in prima squadra e vanno a farsi le gambe altrove».
Da Firenze, dove ha passato la giornata, Renzi ha fretta di chiudere le polemiche sulle liste: «Basta parlarsi addosso. Tutte le volte in cui ci sono le elezioni ci sono gli esclusi che, in modo del tutto comprensibile, esprimono la propria rabbia per l'esclusione, ma non è questo il problema dell'Italia. Un po' di ricambio fa bene», taglia corto. E ribadisce il suo ottimismo: «Il Pd è in grado di essere il primo gruppo parlamentare. E senza promettere miracoli impossibili».
Ma la scia di rancori che la questione liste si lascia dietro rischia di avere contraccolpi di lungo periodo nel Pd. La campagna elettorale è iniziata, e funzionerà nelle prossime settimane da coperchio. Ma dopo il voto, se il Pd avrà un risultato troppo sotto le attese, i malumori sono destinati a riesplodere, e ad alimentare la resa dei conti interna. La trincea del 25% può fare tutta la differenza per la leadership renziana sul Pd.
Che la minoranza interna, che si sente decimata, sia sul piede di guerra è scontato. Ma vengono descritti come irritati, preoccupati o delusi per la gestione della partita elettorale anche pezzi da novanta della maggioranza: da Marco Minniti a Graziano Delrio, da Matteo Richetti fino allo stesso premier. Poi ci sono gli avversari, e un attacco pesante arriva dal predecessore di Renzi a Palazzo Chigi. Enrico Letta usa parole di fuoco: «Tragedia, abisso, indignazione». Par di capire insomma che le liste del Pd non gli siano piaciute molto, e la cosa non stupisce. In particolare, si intuisce, non gli è piaciuta la trombatura del suo ultimo «fedelissimo» (gli altri si erano variamente riposizionati nel tempo), Marco Meloni. Trombatura, a rigor di logica, comprensibile dal punto di vista renziano, visto che il deputato si era distinto negli anni per un'attività politico-parlamentare tutta concentrata nel tiro al segretario, attaccato a spada tratta su quasi ogni argomento, fino al rifiuto di votare la fiducia in diverse occasioni. Meloni non si capacita per l'estromissione, e si può capire. Letta però condanna severamente l'operato del suo successore: «Sono attonito per quel che è accaduto. Sia per il merito che per il metodo: durante questo fine settimana si è consumata una vicenda dai contorni tragici», dice in un colloquio con La Stampa. «Ricevo reazioni indignate da tutta Italia: non mi capitava da tempo. Vedo i sondaggi e, non soltanto per quelli, sono preoccupato», aggiunge l'ex premier, che all'ultimo congresso è stato sostenitore di Andrea Orlando. «Nel rapporto con l'opinione pubblica questa vicenda si traduce in un altro insperato e immeritato regalo a Berlusconi e ai Cinque Stelle. Una incredibile corsa verso l'abisso».
Intanto, dall'esterno, Massimo D'Alema prevede che l'ipotesi di future larghe intese tra Pd e Fi (che un'alleata del Pd come Emma Bonino «non esclude») sia «campata in aria: non avranno i numeri per governare», assicura.
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