È la stagione della resistenza politica di Luigino Di Maio. Il ministro degli Esteri non sta di certo perdendo il sonno per la sorte dei curdi di Siria. Ha convocato l'ambasciatore turco, ma per il resto si sta muovendo per ridefinire il suo ruolo nella metamorfosi grillina. Nel giorno in cui si festeggia il decennale del Movimento Di Maio fa un paio di mosse per mettere in sicurezza la sua posizione. La prima parla al Pd ma ha come destinatario Giuseppe Conte.
Di Maio, negli studi di Sky Tg24, fa sapere a Zingaretti che non ha alcuna intenzione di siglare patti con il Pd. Nessuna alleanza strutturale. Niente accordi nelle regioni e neppure a livello nazionale. L'Umbria resta al momento un'anomalia e in caso di vittoria non vuole assessori con il marchio di partito. La maggioranza di governo a sostegno del Conte bis è una necessità contingente. In pratica: quello tra i gialli e i rossi per ora non è un matrimonio, ma un'avventura. La svolta ci può essere se a gestire le nozze sarà il solo Di Maio senza l'ombra di Conte. Ora bisogna capire se tutto questo è stato concordato e condiviso con Casaleggio e Grillo. Il «no» di Di Maio al Pd punta soprattutto a smontare le ambizioni future del premier. Con chi stanno i fondatori?
Conte si è risieduto sulla poltrona di Palazzo Chigi con la speranza di giocarsi una partita strategica tutta nuova. Non ha indossato la casacca grillina, perché il suo orizzonte è più ampio. Il suo progetto è diventare il cardine di una coalizione stabile, quella nata appunto intorno al suo governo. L'idea è diventare appunto il garante di un patto storico tra Cinque Stelle e Pd per dare vita a una nuova sinistra. Tutto quello che infatti Di Maio non vuole. Giggino per sopravvivere deve insistere in un grillismo centrista. Conte invece sogna di incarnare il candidato ideale alle prossime elezioni del partito «demostellato». I due insomma non possono che essere avversari. L'altra insidia per Conte è chiaramente il prepotente Matteo Renzi, che ha dato il via alla maggioranza di governo, ma ora si muove come il più inaffidabile incursore. Il Renzi rompiscatole fa comodo a Di Maio. Entrambi intrigano per una maggioranza instabile.
Di Maio non ha però solo Conte da ridimensionare. I Cinque Stelle stanno al governo ma vivono comunque un momento difficile. È finito l'entusiasmo dei «vaffa» e i dieci anni cominciano a farsi sentire. La delusione è un sentimento che si va diffondendo, i malumori sono sempre più difficili da soffocare, gli ex ministri che hanno disertato il compleanno sono un segnale imbarazzante. La piattaforma Rousseau non basta. I dissidenti hanno scritto un manifesto per chiedere a Casaleggio e Grillo una presenza reale nel territorio. Il rischio di Di Maio è apparire l'uomo della casta. Giggino si sta difendendo anche da questo.
Ecco allora l'annuncio di una classe dirigente allargata, con tanto di numeri: 90 persone come punto di riferimento scelti dal basso. Il Movimento diventa partito. È la risposta al modello Ulivo che sogna Conte.I grillini per il momento non vogliono morire Dem.
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