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"Richiamano in servizio dottori 70enni e li mandano in guerra senza il fucile"

Il dentista Ciatti e i colleghi svuotano gli studi e forniscono mascherine

"Richiamano in servizio dottori 70enni e li mandano in guerra senza il fucile"

Hanno svuotato i propri cassetti, i magazzini, le cantine di casa. Mascherine, visiere, camici, soprascarpe, cuffiette. Hanno requisito le scorte di due stagioni per donare tutto a medici di base e pediatri. A Varese un'associazione (MOOSS) messa in campo da un dentista, Alberto Ciatti, con un collega di Saronno, Tommaso Mascarello, dal 9 marzo ha rifornito ogni giorno i dottori del territorio, la prima trincea di questa colossale guerra nazionale contro il coronavirus. Ai due odontoiatri, affiancati dal padre di Alberto, Maurizio, si sono uniti decine di colleghi della provincia, poi della regione. Il recupero delle scorte si è esteso tutto il Paese. «Ma nelle ultime quarantotto ore - racconta Alberto - la situazione è precipitata. Sono arrivati a chiederci duemila mascherine dall'ospedale. Amici di reparti di oncologia trasferiti nell'emergenza ci implorano di rifornirli». «È un pasticcio - aggiunge Maurizio -. Richiamano in servizio di quelli di quasi settant'anni come me, che avrebbero problemi a sollevare un malato su una barella. Ma non mi puoi mandare alla guerra se non mi dai la divisa, le scarpe, il fucile». Le mascherine arriveranno, il contratto con la Cina è stato firmato. Ma sono necessarie non domani: tra un minuto.

Maurizio Ciatti, come è partita l'idea di svuotare i cassetti?

«Il 6 marzo ho deciso di chiudere l'ambulatorio riducendo l'attività alle emergenze. Il 9 siamo andati a prendere tutti i dispositivi di protezione che avevamo. In cinque-sei giorni abbiamo dotato di questa attrezzatura moltissimi colleghi».

L'idea è stata un successo.

«Ma non può bastare il buon cuore di qualcuno, come è successo a Besozzo, dove un vigile va in giro a distribuire mascherine. Ci vuole una presa di posizione importante, del governo, della Regione di cui stimo moltissimo il presidente».

In che modo?

«Bisogna precettare fabbriche, come si faceva durante la guerra, perché possano essere riconvertite nella produzione di mascherine. E far intervenire in maniera importante l'esercito. Hanno maschere e tute per allarmi biologici, attrezzature più idonee».

Che tipo di convocazione le è arrivata come medico 68enne?

«È un invito a dare una mano. Ma queste convocazioni andrebbero fatte ad personam: se sai che uno pneumologo è appena andato in pensione, lo chiami. E comunque la prima regola del soccorso è che il soccorritore deve essere messo in sicurezza, altrimenti, se si ammalano i sanitari, è finita la guerra».

Quindi, lei dice, prima bisogna attrezzare al meglio chi già opera all'emergenza.

«Io potrei esser molto più utile nell'aiutare i medici di base con il triage telefonico. Migliaia sono a casa con febbre e tosse e hanno bisogno di essere seguiti con le chiamate.

Abbiamo chiesto che sia costituita una squadra di cinque-sei medici che vadano nelle case della gente con tutta l'attrezzatura idonea, l'Ats Insubria ha detto che lo farà. Ma bisogna agire subito, istruire i medici sull'utilizzo dei dispositivi». Nella «svestizione» non possono esistere errori.

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