Quella riforma dello sport senza tempismo

di Antonio Ruzzo

«Dalla mattina alla sera, con quattro righe nella Finanziaria, hanno ucciso il Coni», ha detto pochi giorni fa Giovanni Malagò che del Comitato Olimpico Italiano resta (per ora) il presidente. Il tempo della diplomazia e finito: à la guerre comme à la guerre. Premesso che una riforma del Coni sembra più che mai necessaria e che molti dei discorsi sull'autonomia del Comitato olimpico italiano nei confronti della politica lasciano il tempo che trovano visto che, anche storicamente, commistioni ce ne sono sempre state, viene da chiedersi perché metterci mano proprio adesso, cioè nel pieno della corsa alla candidatura di Milano-Cortina ai Giochi Invernali 2026? Ma ormai la battaglia è cominciata e lascerà macerie sul campo. Da una parte il sottosegretario Giancarlo Giorgetti e un governo che marciano compatti, «contratto» alla mano, con l'idea precisa di ridimensionare soldi e poteri a quello che ritengono un «carrozzone», dall'altra Malagò che si batte come un condottiero ma che non sembra poter contare su un esercito di fedelissimi visto che, proprio pochi giorni fa in consiglio, molti presidenti delle federazioni che contano non si sono presentati perché erano in tutt'altre faccende affaccendati. Sullo sfondo due scenari su cui cala più di qualche ombra. Quello di una candidatura olimpica italiana che ormai sembra quasi conquistata perché un referendum ha messo fuori dai Giochi Calgary e perché Stoccolma pare avere ben altri pensieri politici che non quello delle olimpiadi, ma che certo questa polemica non rafforza. Anzi.

E quello di una riforma della governance dello sport che a parole tutti vogliono e tutti benedicono ma che forse sarebbe stato meglio far partire da una nuova legge sullo sport e non da un misero articolo della legge di bilancio. Che sembra diventato un frullatore dove infilarci dentro un po' di tutto.

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