"Il rischio attentati c'è. I messaggi fra terroristi sono scritti in italiano"

Allarme del procuratore nazionale antimafia Roberti: "In Italia rischio attentati. A Genova un piano per un attacco-bomba"

"Il rischio attentati c'è. I messaggi fra terroristi sono scritti in italiano"

In almeno due occasioni l'Italia ha scampato attentati. «I terroristi stavano per colpire a Venezia e in Liguria». Lo ha confessato al Giornale il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, impegnato ieri alla questura di Roma in un convegno organizzato dal Sap (sindacato autonomo di polizia) per presentare il suo libro «Il contrario della paura».

Procuratore, l'Italia è a rischio in questo momento?

«Sì secondo me c'è un rischio concreto e tangibile. Lo vediamo da molti segnali, soprattutto sulla rete. I messaggi dei terroristi sono sempre più spesso in lingua italiana e ci sono ripetutamente esortazioni a colpire il nostro Paese anche come lupi solitari, che poi sono lupi solitari fino a un certo punto, perché si tratta di soggetti che vengono radicalizzati, incentivati e sostenuti nei loro progetti violenti fino a quando poi, compiono un attentato. Sono certo che in Italia siano stati prevenuti attentati progettati. Per fortuna abbiamo dei servizi di Intelligence e delle forze di polizia molto preparati».

Dove stavano per colpire?

«Sicuramente a Venezia, dove dei kossovari volevano fare un attentato esplosivo nella zona di Rialto. E poi c'era un progetto anche più serio, a Genova, di un algerino che era in contatto con un tunisino: i due avrebbe dovuto compiere un attentato, probabilmente kamikaze, con l'esplosivo. La cosa importante è che la Procura ha ottenuto il fermo di questo algerino e dei suoi complici egiziani prima ancora di venire a sapere del progetto di importare esplosivo. Prima è stato fermato per associazione terroristica, poi abbiamo saputo, dalla cooperazione con l'autorità giudiziaria tunisina, che c'era un progetto di attentato. Sottolineo la collaborazione tra Intelligence che è fondamentale».

Anis Amri è passato da Aprilia, lo stesso l'attentatore di Marsiglia. Esistono cellule islamiche in Italia?

«Strutture logistiche organizzate non ci sono. Ci sono lupi solitari, pericolosissimi in quanti tali».

Si stanno tagliando uffici di polizia postale: che problemi crea, viste le competenze di cyber security?

«Sarebbe importantissimo avere più poliziotti altamente specializzati perché le indagini informatiche saranno sempre più le indagini per eccellenza. Soprattutto quelle sul deep web, che è una realtà ancora poco conosciuta e trascurata, ma è lì che avvengono tutte le transazioni criminali più gravi e quindi avere bravi investigatori informatici sarà fondamentale».

Risultano connessioni tra terroristi e criminalità organizzata italiana?

«Per adesso non siamo riusciti a dimostrare con prove spendibili questo rapporto. È ancora un'ipotesi investigativa che attende di essere dimostrata sul piano delle prove».

I terroristi arrivano sui barconi con i migranti?

«L'immigrazione clandestina, per ora, è stata sostanzialmente irrilevante ai fini del rischio terrorismo. È vero che Anis Amri, arrivò nel 2011 su un barcone, ma si tratta di casi isolati rispetto al flusso. Non si può escludere, però, lo ha detto il ministro Marco Minniti e io sono d'accordo con lui, che con la sconfitta dello Stato islamico a Raqqa e quindi con la diaspora dei foreign fighters, questi soggetti colgano l'opportunità dei traffici di migranti per potersi mescolare e raggiungere l'Europa».

Perché non sono stati ancora compiuti attentati in Italia?

«Non c'è una

risposta precisa. C'è un'azione di prevenzione molto efficace e, poi, probabilmente anche perché il nostro Paese non ha una presenza così massiccia di soggetti musulmani a rischio radicalizzazione come in altri Stati europei».

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