La riscoperta del valore della formazione

Un po' a sorpresa sono stato invitato, alcuni giorni fa, presso la Triennale a partecipare a un incontro sulla Milano del dopo-Expo. Che ne sarà di tutti i meccanismi che la grande rassegna avrà messo in moto?, si domandavano i promotori. Che ne sarà dell'area lasciata libera dopo ottobre? Quali impegni (con relativi costi, non solo in termini economici) saranno richiesti alla città quando si tratterà di realizzare qualcuno dei progetti già sul tavolo?

In poche parole: che faccia avrà la Milano del 2030?

Al dibattito, organizzato dall'Associazione Ego e da Competere.eu , erano presenti rappresentanti del mondo (...)

(...) dell'informazione, delle imprese e della politica.

Ne è emersa una novità la cui importanza civile e culturale non può essere passata sotto silenzio. Eccola: in due ore di discussione serrata non ho mai sentito nessun riferimento, se non per fugaci accenni, a termini che pensavo avrebbero dominato tutto l'incontro, quali «smart city», «sostenibilità», «governance», «connettività», «rete», «stakeholder» e così via.

Con mia sorpresa, la parola più ricorrente - soprattutto nel dialogo tra aziende ed esponenti (bipartisan) del mondo politico - è stata «formazione». Mi aspettavo che a dominare fossero i soliti cahiers de doléance , le solite sottolineature su quello che non va.

Niente di tutto questo: l'esigenza fondamentale, emersa pressoché in tutti gli interventi, è stata quella di valorizzare e potenziare la formazione, contribuendo a qualificare sempre di più il ruolo dell'università da un lato, senza dimenticare dall'altro la crescita esponenziale - in senso sia qualitativo che quantitativo - degli Istituti di formazione professionale.

Detta altrimenti: in un dibattito tra aziende e politici sul futuro della città, la grande protagonista è stata la questione educativa e formativa. Nulla si poteva immaginare di meno scontato. La pietra scartata per quindici anni dai sociologi è ridiventata testata d'angolo.

Là dove a decidere il destino di un Paese non è semplicemente il tema dell'occupazione ma la sfida qualitativa del lavoro, l'esigenza non è solo quella di avere buoni professionisti, ma di poter contare su persone responsabili.

Per dirla tutta: non bastano gli stages aziendali, ci vogliono gli uomini, e a produrre gli uomini può essere solo un sistema educativo il più possibile sano e messo nelle condizioni di lavorare.

È significativo che una simile esigenza emerga nel momento in cui risulta sempre più evidente il ruolo rinnovato delle città e della aree urbane nel panorama politico ed economico europeo e mondiale. Non solo perché oltre la metà della popolazione mondiale è inurbata, ma perché la città va ormai riacquistando il ruolo che fu della polis greca o del comune medievale. «Milano» non è più solo «Italia», «Londra» non è «Inghilterra».

In un momento di grave crisi di tutte o quasi le classi politiche nazionali e transnazionali (vedi Ue), il testimone passa obbligatoriamente alle città, alla loro capacità di creare attrattiva e di

trasformare questa in lavoro. Così è sempre accaduto nei momenti decisivi della nostra storia.

Qui entra in gioco il tema della formazione, perché è su questo tema che le città decideranno il proprio destino nei prossimi vent'anni.

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