Cento persone messe sotto controllo a Dallas. Decine in Spagna (di cui 15 in quarantena). Isolate, monitorate, esaminate. Nel tentativo di fermare la diffusione del virus che ha colpito due infermiere (l'americana Nina Pham e la spagnola Teresa Romero). Si pensava che a rendere devastante il contagio dell'Ebola fossero soprattutto le povere condizioni del sistema sanitario di Paesi come la Sierra Leone o la Liberia. Ma ora appare chiaro che la trasmissibilità è tale da mettere a dura prova anche le procedure di contenimento di un ospedale occidentale. E ieri i nuovi dati diramati dall'Oms sono stati tutt'altro che rassicuranti: «Il tasso di mortalità nell'epidemia di Ebola è aumentato al 70%». E non è solo questione di mortalità, ma anche di morbilità. Se si ottengono successi localizzati in Africa, dove la quarantena inizia in alcuni casi a dare frutti, le previsioni restano allarmanti. Per ora si hanno mille nuovi casi alla settimana, ma sempre all'Oms c'è chi teme che si potrebbe arrivare a diecimila. Il virus è resistente e aggressivo. Tanto che il Centro europeo per il controllo delle malattie ha reso noto che Ebola resiste nello sperma sino a 7 settimane dopo la guarigione del paziente.
Alla fine l'impressione è che l'umanità dopo molto tempo sia costretta ad affrontare una malattia per cui non c'è medicinale adeguato (per ora i vaccini sono una speranza, ma non più di questo). Così tornano parole antiche e soluzioni antiche. La più sentita è «quarantena». L'idea a quanto sembra venne per la prima volta agli abitanti di Ragusa, oggi Dubrovnik. Nel 1377, resisi conto che la peste poteva arrivare attraverso le navi che approdavano in città (tappa quasi obbligata delle merci in arrivo da Oriente) gli abitanti tenevano le navi in arrivo e i loro equipaggi per trenta giorni in un luogo separato dalla popolazione. I giorni poi vennero portati a quaranta. Fu così che nacque l'espressione che usiamo ancora oggi. Dei meccanismi di diffusione della malattia (i vettori della peste erano le pulci) avevano capito ancora ben poco, però intuirono che tenendo lontano gli equipaggi e le merci (piene di topi e di pulci) si abbatteva il rischio.
Il loro esempio venne seguito ovunque, con esiti variabili nel corso del tempo. Milano, colpita da tremende pestilenze (come nel 1630) organizzò un «registro dei morti». Le diagnosi erano molto discutibili, ma quello che contava era la sigla S.p.s. Stava per sine pestis suspicione . E finché c'era quella, tutti, tranne magari i parenti del de cuius , potevano dormire sonni tranquilli. E la pace di Passarowitz, del 1718, allontanò sempre di più la peste dal Vecchio Continente. Gli occhiuti funzionari austriaci misero le mani su un bel pezzo dei Balcani e i loro controlli su merci e persone che arrivavano da Oriente erano inflessibili.
Perché quando l'unica soluzione disponibile è l'isolamento degli infetti, tutto dipende da quanto si è bravi a tenere sotto controllo un territorio. Da quanto si sorveglia un confine. E da quanto è veloce il virus. Fermare l'influenza spagnola nel 1917 fu impossibile. I trasporti erano già diventati veloci, c'era una guerra in corso, la trasmissione del virus avveniva per via aerea. Risultato? Un miliardo di persone infettate. Di cui 50 milioni morirono. Ed è questo che, oggi, fa paura ai medici. Con i trasporti del terzo millennio se l'Ebola sfugge di mano l'effetto potrebbe essere molto simile a quello che si ottiene gettando una secchiata di vernice in un ventilatore. Allora lo sforzo diventa quello di fare con strumenti nuovi ciò che una volta si faceva in un mondo molto più lento. Bloccare, contenere, monitorare. Ora la Sierra Leone usa gli Sms per avvisare la popolazione sui rischi dell'Ebola. Il metodo dovrebbe estendersi ad altri Paesi dell'Africa. E si moltiplicano i termometri negli aeroporti. Ma a volte servono sistemi ben più duri. Il che significa, anche, impedire alla gente di scappare da zone pericolose. Limitare le libertà personali.
Negli Usa fece scuola il caso di Mary Mallon (1869-1938) una cuoca portatrice sana di febbre tifoide la quale infettò decine di persone e rifiutava di smettere di fare la cuoca: alla fine venne messa in quarantena a vita.
Noi siamo ancora pronti a misure così rigide? Negli ultimi anni la quarantena vera l'hanno subita quasi soltanto gli astronauti tornando dallo spazio e blandamente, tra i mugugni dei passeggeri, qualche nave da crociera colpita dai soliti virus intestinali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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