La rivolta Pd contro le liste. Lorenzin va da sola in Lazio

Proteste per le epurazioni dei non fedelissimi. Orlando: "Offesa la nostra intelligenza". La scissione coi centristi

La rivolta Pd contro le liste. Lorenzin va da sola in Lazio

Il Pd secondo Matteo è stato scritto. Le liste della discordia che hanno ridefinito il partito ritagliato sul profilo renziano sono finalmente chiuse ma al momento non è possibile prevedere quali saranno le conseguenze delle scelte di Renzi. Lamentele e proteste non mancano anche a livello locale ma i big del partito, che hanno visto le loro truppe falcidiate dalla scure di Renzi, sembrano intenzionati a rimandare la resa dei conti al dopo voto.

E nel Lazio per le regionali si consuma la scissione tra Pd e Civica Popolare che molla Nicola Zingaretti e corre in solitaria. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin ha annunciato ieri la candidatura di Jean-Léonard Touadi, ex assessore con Veltroni sindaco. L'ex premier Enrico Letta si dice «attonito per quel che è accaduto» e definisce la stesura delle liste del Pd «una vicenda dai contorni tragici, una corsa verso l'abisso». E dentro il Pd si respira aria pesante. Andrea Orlando invita a concentrarsi sulla campagna elettorale ma non riesce proprio a tacere di fronte all'affermazione di Renzi che nega nel partito ci sia una maggioranza di suoi fedelissimi. «Affermare che nelle liste non siano tutti renziani non è fare un torto alle minoranze ma all'intelligenza - attacca Orlando - Dire che uno su oltre 900 candidati non sia renziano non dimostra che non lo siano gli altri». E all'escluso Nicola Latorre che ha definito lo scontro interno tra Renzi e le minoranze «una sceneggiata» il ministro della Giustizia replica duramente. Lo scontro, dice Orlando che non ha firmato le liste, «è stato vero, un atto estremo di rottura». Ad attaccare Renzi sono in tanti. Pure Giorgio Gori, il candidato governatore per il Pd in Lombardia. «Credo che si sia pasticciato molto - dice Gori - e penso che nella attribuzione delle posizioni eleggibili nella regione il Pd lombardo non ne sia uscito bene». Due i casi che hanno destato scalpore in Lombardia. Quello di Lia Quartapelle esclusa dal suo collegio uninominale milanese e spostata in un plurinominale a Ferrara e poi rientrata grazie all'intervento del sindaco Giuseppe Sala. Ancora proteste ma questa volta per la candidatura nel collegio uninominale del Senato a Mantova, di Paolo Alli, in quota Civica popolare ma soprattutto a lungo braccio destro di Roberto Formigoni quando era governatore della Lombardia, poi passato agli alfaniani. Una candidatura che l'assessore Pierfrancesco Majorino commenta così: «Ma fa schifo solo a me sta cosa? Sono basito». Frecciate pesanti arrivano anche dal sindaco Sala. «Mi sarei aspettato più equilibrio da Renzi - dice Sala -. Si è messo una truppa che gli è molto fedele». Un'altra candidatura che ha sollevato parecchi mal di pancia è quella di Cosimo Ferri, attuale sottosegretario alla Giustizia e influente leader di Magistratura indipendente, considerato dai dem troppo vicino a Silvio Berlusconi. Perplessità e malumore pure per l'esclusione di Federico Gelli, il responsabile del settore sanità del Pd e anche estensore del programma sanità del partito. Pure il governatore della Puglia Michele Emiliano invita a votare Pd «anche se non si ama Renzi», sottolineando la sofferenza dei non renziani «nella redazione delle liste».

In Sicilia a Caltanissetta la candidatura di Daniela Cardinale figlia dell'ex ministro Salvatore, ha provocato addirittura la serrata dei circoli locali che hanno affisso un cartello con la scritta «Chiusi per dignità». Ma dai circoli locali arrivano proteste da tutte le regioni: in Calabria con una lettera aperta a Renzi si definiscono «mortificati» e in Campania lamentano le candidature «calate dall'alto».

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