Sala e Zingaretti riaprono all'alleanza con i M5s

Il sindaco: «Da soli non ce la facciamo». Caos tra i dem per le raccolte firme contro Salvini

Sala e Zingaretti riaprono all'alleanza con i  M5s

L'estate del Pd è frizzante: da un lato si litiga sull'opportunità di fidanzarsi con M5s, dall'altra si litiga su una raccolta firme per chiedere le dimissioni di colui che con i medesimi Cinque Stelle - beato lui - si è fidanzato prima di loro, ossia Matteo Salvini.

A rilanciare il «dialogo» (che non si sa bene cosa voglia dire) con i grillini sono Beppe Sala da Milano e Nicola Zingaretti da Roma. Il segretario dem, in una intervista al Corriere della Sera mette le mani avanti: «Non c'è la prospettiva di un governo con i Cinque Stelle», assicura, ma poi annuncia una «novità»: «Avevamo ragione noi che sostenevamo che il loro elettorato non è un blocco: è composito». Quindi «dobbiamo parlare anche a quell'elettorato che Di Maio ha portato in un vicolo cieco diventando subalterno a Salvini». Sul quale si deve picchiare: il segretario annuncia una raccolta firme in tutte le feste dell'Unità per chiederne le dimissioni. Peccato, protestano i renziani, che una raccolta firme fosse stata già lanciata online da Matteo Renzi, il giorno prima. Col risultato che il Pd sembra dividersi su due diverse mozioni che dicono la stessa cosa.

Beppe Sala, che da tempo sostiene la necessità di una convergenza con i grillini «buoni» (dove li veda non è chiaro) applaude Zingaretti: «Il Pd da solo non ce la fa, deve trovare il modo di arrivare al 40%», premette, dunque è «positiva» l'apertura di Zingaretti: «Molti dei nostri stanno lì», asserisce, ossia nel partito della Casaleggio. E «bisogna trovare le formule per avvicinarci al 40% perché altrimenti si sta all'opposizione. Che vuol dire non entrare nelle scelte fondamentali, e non eleggere il presidente della Repubblica». Il tema è sul tavolo, in una prospettiva di lungo periodo: occorre arrivare al 2023, quando si eleggerà il successore di Mattarella, con un'intesa già pronta con quella che, secondo i dem ottimisti, sarebbe la parte «buona» di M5s. Per provare ad isolare la Lega e mandare al Colle un candidato (il giulivo Conte?) da votare insieme. Se poi nel frattempo ci fossero elezioni, Sala potrebbe essere il più spendibile dei candidati premier per i dem.

Il fantasma del flirt con i Cinque Stelle è alla base anche dell'inseguimento con ripicche sulla petizione che dovrebbe animare il Ferragosto dem. A supporto della mozione di sfiducia presentata - fuori tempo massimo - dal Pd per inchiodare Salvini sul Russiagate. Renzi era stato il primo a proporla, per costringere Salvini a difendersi in Parlamento e obbligare i grillini a prendersi la responsabilità di assolverlo o coprirlo. La segreteria Pd però bocciò l'iniziativa, con gli zingarettiani che dicevano in giro che l'ex premier voleva solo «ricompattare la maggioranza» e sventare una crisi ormai imminente che avrebbe presto portato al voto anticipato.

Ovviamente non c'è stata alcuna crisi, la maggioranza si è ricompattata comunque e Salvini ha potuto allegramente risparmiarsi di dare anche una sola spiegazione sugli oscuri inciuci petroliferi russi.

A quel punto Zingaretti ha fatto presentare la mozione di sfiducia, e la maggioranza ha avuto gioco facile a rinviarla a dopo le sudate ferie. «Ci siamo arrivati tardi e male, per non disturbare gli strateghi dei valori condivisi con i Cinque Stelle, che invece sono sempre più al servizio di Salvini», attacca il renziano Luciano Nobili.

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