Roma Ieri sera il fantapolitico governo giallo-verde sembrava di nuovo in alto mare, tanto più dopo le tremebonde richieste di tempi supplementari di Luigi Di Maio e le bellicose dichiarazioni sulle distanze programmatiche fatte da Matteo Salvini.
L'episodio più avvincente del toto-nomi di giornata riguarda la poltrona di premier e la candidatura del prof in pensione di Storia economica Giulio Sapelli, re per una notte. A quanto ha raccontato lui stesso, i dioscuri del governo-che-non-c'è lo avrebbero infatti contattato alle ore piccole per sondare la sua disponibilità a guidarlo. E avrebbero ottenuto un'adesione così entusiastica che di lì a poche ore, in mattinata, il prof faceva sapere di aver già imbastito una lista di ministri, in testa Domenico Siniscalco (già ministro del governo Berlusconi) per l'Economia: «L'ho contattato, spero di averlo al mio fianco», era il messaggio ai mercati di Sapelli. Nel frattempo però, dagli archivi usciva una ricca messe di dichiarazioni del loquace professore, anche sui partiti di cui era pronto a fare il premier: i Cinque Stelle? «Hanno un evidente Dna di matrice neonazista». Subito dopo i grillini lo affondano: «Non è il nome che sarà proposto al Quirinale». Lui reagisce con candore: «Hanno cambiato idea? peccato, ci tenevo». E a chi gli chiede se ci possa essere stato anche un veto del Colle su di lui, replica: «Mattarella si ricordi che c'è qualcosa sopra di lui: le Camere sovrane».
Assodato che, se qualcuno mai sarà premier, non sarà Sapelli, nei corridoi le ore di attesa durante le bizantine trattative tra Lega e partito di Casaleggio sono state impiegate col consueto gioco dei ministri. Citatissimo in ogni fantasioso elenco è il mitico Vincenzo Spadafora, fattosi le ossa in svariati partiti ma sempre lasciato in quarta fila, senza mai approdare alle sospirate poltrone che contano. Ora, grazie allo stretto legame con Di Maio, spera di coronare il suo sogno. Se il capo grillino fosse premier, lui sarebbe il suo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (ma per questo ruolo c'è chi evoca Ugo Zampetti, attualmente al Quirinale come segretario generale, ma che fu il Virgilio di Di Maio al suo debutto a Montecitorio). Altrimenti sarà ministro: si parla di Infanzia o Pari Opportunità, ma lui spera in qualcosa di più sostanzioso. Analogo discorso vale per il leghista Giancarlo Giorgetti, presente in tutti gli organigrammi in posizioni apicali: dall'Economia agli Esteri. Il candidato dimaioista all'Economia invece è uno dei pochissimi superstiti della lista dei ministri pre-elettorale: Andrea Roventini, professore a Pisa.
Alla Giustizia puntano Alfonso Bonafede in quota M5s e Giulia Bongiorno o Nicola Molteni per il Carroccio. Per i Beni Culturali in pole il leghista Gianmarco Centinaio, già assessore alla Cultura a Pavia. Nessun nome grillino viene indicato per queste competenze. Per la Sanità scalpita Giulia Grillo, attuale capogruppo Cinque Stelle, insidiata però dal ministro ombra Armando Bertolazzi e dal più competente Massimo Garavaglia, già assessore leghista in Lombardia.
Gli economisti del Carroccio vengono invece tenuti alla larga dai dicasteri economici: si parla di Agricoltura per Claudio Borghi (in alternativa, Barbara Lezzi di M5s) e di Istruzione per Alberto Bagnai, in competizione con il grillino Riccardo Fraccaro. Roberto Calderoli è infine l'indiscusso candidato di punta per Riforme Istituzionali e Rapporti con il Parlamento.
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