Se anche Minniti riscopre i respingimenti

C'era una volta la favoletta di un'Africa distrutta dall'egoismo dell'Occidente, dei migranti in fuga dalla guerra e delle Ong pronte a tutto per salvarli

Se anche Minniti riscopre i respingimenti

C'era una volta la favoletta di un'Africa distrutta dall'egoismo dell'Occidente, dei migranti in fuga dalla guerra e delle Ong pronte a tutto per salvarli. Da ieri la leggenda tanto cara a umanitari e radical chic e a tanta parte del governo non esiste più. A cancellarla ci sta pensando Marco Minniti, un ministro dell'Interno assai più attento, nonostante il passato comunista, all'interesse nazionale che non all'ideologia. Ospite di un «forum» organizzato da Repubblica il ministro costringe il quotidiano più amato da governo e sinistra a mettere nero su bianco idee e tesi opposte a quelle smerciate da anni ai propri lettori. Arrivando a resuscitare l'indigesto concetto di «respingimento», seppur imbellettato con il marchio dell'Onu.

Ma per comprendere la rivoluzione minnitiana non c'è di meglio che leggere le sue parole. «Il 90% dei flussi del Mediterraneo arriva dalla Libia. E questo consente di focalizzare ancora di più l'origine del problema». Il problema per Minniti non è quello di un'Africa alla deriva da 40 anni, ma quello di una Libia priva, dopo la caduta di Gheddafi, di frontiere meridionali, di controlli sui flussi interni e di una Guardia costiera in grado di pattugliare i 175 chilometri di costa da Al Gharabouli a Zwara, centro del traffico di uomini. Per contenere i migranti, fa capire, non serve rincorrere l'utopia, irrealizzabile, di guarire l'Africa dai suoi mali, ma più semplicemente cauterizzare la piaga libica, sfiato naturale di quei mali.

Il colpo più duro al Santo Graal buonista arriva quando il ministro smentisce, dati alla mano, la leggenda dei disperati in fuga dalla guerra. «Oggi, le prime tre etnie di migranti provengono da Nigeria, Bangladesh e Guinea. È evidente che chi, per 10mila dollari, parte dal Bangladesh, raggiunge in aereo il Cairo o Istanbul e di lì viene preso dai carovanieri per essere condotto prima nel Sud del Sahara e poi, a Sabrata e di lì sulle nostre coste con barconi, non sta sfuggendo da una guerra». Esattamente l'opposto di quanto sostenuto dal resto del Pd, dal premier Gentiloni e dal presidente Mattarella. E dall'iconoclastia minnitiana non si salvano neppure le Ong di mare e di terra vera icona del pensiero buonista e liberal chic. «L'Italia sbotta Minniti - è il Paese che fa servizio taxi sotto costa per i boat people. Il Paese in cui si arriva per poi sparire nel nulla. Dove chi deve essere rimpatriato non lo è e le mafie si arricchiscono e riciclano con il business dell'accoglienza». Il colpo in prospettiva più rivoluzionario lo sferra ricordando le 10 motovedette fornite a Tripoli dal nostro governo e lo stanziamento della Commissione europea di «90 milioni di euro per la costituzione di campi di accoglienza sul territorio libico sotto la responsabilità dell'Unhcr e dello Iom». L'iniziativa, aggiunge il ministro, «oltre a impedire la vergogna di campi di concentramento gestiti da scafisti, renderà più agevoli le procedure di rimpatrio volontario assistito. Questo per spiegare cosa intendo quando parlo di metodo».

Quel metodo basato sul fermo dei migranti nelle acque territoriali libiche grazie alle motovedette fornite dall'Italia e sul loro accompagnamento forzato nei centri organizzati dall'Onu ricorda, seppur in forma aggiornata, gli accordi firmati da Silvio Berlusconi e Muhammar Gheddafi. Allora si chiamavano respingimenti.

Domani saranno riaccompagnamenti al Paese d'origine certificati dalle Nazioni Unite. Ma metodo e sostanza non cambiano. Sempre che l'eccesso di metodo non ci riservi, invece, un malaugurato cambio di ministro dell'Interno.

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