Sulla stampa russa sono perfino arrivati a parlare di Renzi Crush Saga, parafrasando il titolo di un famoso giochino quando Matteo Renzi s'è fatto beccare a chattare in continuazione col suo iPhone da un avvelenato Putin durante un meeting ufficiale a San Pietroburgo. Da noi, più semplicemente, Dagospia lo ha ribattezzato Pittibimbo per il suo essere costantemente tendente al cool, ma non c'è dubbio che il rapporto tra il nostro ex premier e il suo smartphone vada ben oltre quello che i suoi detrattori malignano ci sia con la Boschi. Il telefono, almeno, parla solo a comando.
Renzi, insomma, voleva essere rottamatore in tutto, anche delle buone maniere istituzionali. Il problema però è che essere fighi e anche primi ministri nello stesso tempo, è un ossimoro dagli effetti collaterali devastanti. «Ogni volta che vedevo Renzi con quell'iPhone in mano mi veniva lo sconforto», ha detto ieri all'Huffington Post Gioacchino Gecchi, uno che per anni è stato superconsulente delle Procure nelle operazioni di voyeurismo tecnologico: «Mi auguro gli avessero dato un altro telefono per le conversazioni più importanti». Vedendo Renzi sempre col Melafonino in mano la cosa sembra improbabile, anche perché di solito i cellulari criptati e a prova di hacker sono degli scatoloncini neri senza troppi fronzoli che mal si abbinano con i cappottini di cashmere. Se non fosse poi però che in certi casi è in ballo la sicurezza nazionale, ovvero quella di tutti noi.
In pratica: anche se entrare in un account iCloud è tecnicamente impossibile se non grazie all'ingenuità del proprietario, Renzi chattava allegramente con il pianeta e cliccava compulsivamente sulle mail (anche quelle degli hacker) mentre nel resto del mondo si è sempre fatta un po' di attenzione sul traffico dati dei propri governanti. Per dire: in nordamerica Blackberry, azienda che dal punto di vista delle scelte di mercato è arrivata quasi al fallimento, è rimasta in piedi perché il suo sistema di sicurezza è quello utilizzato da eserciti e agenzie di sicurezza nazionale. E di sicuro presidenti e primi ministri si affidano a cellulari, vecchi e nuovi che siano, dove è possibile fare le operazioni base per garantirsi più privacy possibile: staccare la batteria, per esempio; o non accedere a internet. Altro che iPhone o Galaxy: un vecchio Nokia Gsm con i suoi pochi tastini è insomma quello che ci vuole, e in giro c'è anche qualche finto tonto tecnologico che l'ha capito benissimo. Marco Travaglio per esempio è uno che dice di essere fermo all'età della pietra, ed in effetti nessuno ha mai pensato di mettere il naso nel suo smartphone, visto che lui non c'è l'ha. Gli piacciono i cellulari inintelligenti, quelli senza internet e senza app, che consentono di mantenere i messaggi privati appunto privati, si sa mai che si scopra qualche amicizia imbarazzante. Anche se la cosa non lo salva dalle brutte figure, visto che qualche mesi fa pubblicò un'intervista alla persona sbagliata per un caso di omonimia: «Ho digitato male sulla lista dei contatti - si giustificò - e ho chiamato quello sbagliato».
Fu una figuraccia con tante scuse, e alla fine viene in mente che certe cose con lo smartphone non succedono. Una soluzione insomma si trova sempre e aveva ragione chi titolò Togliete l'iPhone a Renzi. Ecco: poi però datelo a Travaglio.
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