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Se Stalin è un gadget e Benito un reato

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Un giorno Nilde Jotti andò a trovare Montanelli nel suo ufficio al Giornale e si accorse, con una certa sorpresa, che accanto alla macchina da scrivere del Direttore, la mitica Olivetti Lettera 32, c'era una piccola cornice con una foto di Stalin. La vecchia compagna di Palmiro Togliatti ne chiese il motivo e Indro fu molto esplicito: teneva quel ritratto perché nessuno più del compagno georgiano aveva fatto fuori tanti comunisti. Ricordandomi la frase del vecchio Cilindro mi ha, a dir poco, sbigottito la notizia che, auspice il premier Putin, c'è stato, negli ultimi tempi, un grandissimo «revival» del dittatore sovietico con manifesti, magliette, matrioske e persino fiction a lui dedicati proprio 60 anni dopo la destalinizzazione voluta da Nikita Krusciov. Paradossalmente, la nostalgia alla vodka si sta registrando sotto il Cremlino negli stessi giorni in cui, in Italia, è in corso un'accesa battaglia parlamentare sul varo di un provvedimento, il disegno di legge presentato dal deputato Emanuele Fiano, che, in pratica, mette definitivamente al bando qualsiasi vestigia del Ventennio.

Se Mosca, non guardando certo per il sottile, sta dunque cercando di rilanciare l'immagine di una grande Russia, come ago della bilancia nello scacchiere mondiale, facendo anche ricorso al falso mito di un personaggio molto discutibile come Stalin, che non meriterebbe certo alcuna rivalutazione, in Italia stiamo cadendo davvero nell'estremo opposto: oggi sembra quasi che a Predappio non ci sia mai stato un figlio del fabbro. La vicenda, a questo punto, è doppiamente paradossale: se Putin, per riconquistare la stessa leadership mondiale dei tempi in cui la Russia si chiamava Urss prima della perestrojka di Gorbaciov, non sottilizza, giustamente, troppo, noi continuiamo, invece, a vivere nei fantasmi di un passato che non c'è più. Da un eccesso all'altro.

Volete sapere l'ultima? Per rilanciare il turismo anche nell'entroterra della Romagna, qualche personaggio di buona volontà aveva, di recente, lanciato l'idea di far riaccendere il faro tricolore che illuminava la collina di Rocca delle Caminate fino al mare Adriatico quando il Duce vi trascorreva i suoi giorni di riposo. Apriti cielo! Le varie associazioni sono subito insorte e, gridando all'untore, all'inizio hanno detto no: non è possibile ripristinare in alcun modo un ricordo considerato nostalgico. Le discussioni sono, però, proseguite, e, alla fine, è stato raggiunto un compromesso alla romagnola: il faro tricolore potrà essere riacceso, ma solo due giorni l'anno, il 25 aprile, che è l'anniversario della Liberazione, e il 1° maggio, festa del Lavoro. E adesso mi chiedo: se passerà la legge proposta Fiano, cosa succederà con il faro tricolore nei due giorni comandati?

E pensare che, tra Stalin e Mussolini, le coincidenze non sono poche. Manco a farlo apposta, nello stesso ufficio di Montanelli, oltre alla foto del dittatore georgiano c'era sul tavolo anche un busto di Lenin, il padre di quella rivoluzione bolscevica di cui, poi, beneficiò lo stesso Stalin.

E fu proprio Vladimir Ilyic che disse a Nicola Bombacci, già compagno del socialista Mussolini, e poi fondatore, a Livorno, del Partito Comunista d'Italia: «Avete perso con Mussolini la grande occasione, l'unico in grado di fare la rivoluzione in Italia». Storie parallele in cui troppe cose ancora non tornano.

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