La morte misteriosa in un incidente aereo di Dag Hammarskjoeld è stata uno dei grandi gialli internazionali degli anni Sessanta. Il velivolo che trasportava il segretario generale delle Nazioni Unite, svedese 56enne in carica dal 1953, e altre 16 persone si schiantò in una foresta presso Ndola nell'allora colonia britannica della Rhodesia del Nord, oggi Zambia, verso la mezzanotte del 17 settembre 1961. Hammarskjoeld si trovava in missione per incontrare il leader secessionista del Katanga, provincia dell'ex Congo Belga confinante con la Rhodesia ricchissima di diamanti e minerali e al centro di enormi interessi economici.
Sulle circostanze dell'incidente furono condotte all'epoca almeno tre inchieste, nessuna delle quali portò però a risultati convincenti. Molte potenze - all'epoca si era in piena guerra fredda- furono sospettate di aver voluto la morte del segretario generale dell'Onu: dai sovietici, che erano impegnati in una politica di penetrazione economica e militare nell'Africa post coloniale e che non gradivano l'atteggiamento di Hammarskjoeld rispetto alla secessione del Katanga, agli stessi belgi, a quel tempo coinvolti in un estremo tentativo di difesa dei loro interessi economici nella ex colonia. Ma anche americani e britannici avevano poca simpatia per il diplomatico svedese, che era stato l'inventore delle missioni di peacekeeping dell'Onu, e non apprezzavano la sua linea in Congo per ragioni opposte a quelle di Mosca.
Furono in pochi a credettere alla versione dell'incidente, e tra questi l'ex presidente degli Stati Uniti Harry Truman, che dichiarò che «Hammarskjoeld stava per ottenere qualcosa di concreto quando lo uccisero».
Alla fine, tuttavia, un colpevole non fu mai trovato e in questi 57 anni le più varie teorie cospirative si sono potute sviluppare liberamente. Ancora nel 2016, ad esempio, l'Onu sembrava pronta a riaprire la sua inchiesta per seguire nuovi filoni relativi all'intervento di agenti sudafricani appoggiati dalla CIA.
Ora però un documentario di produzione scandinava getta nuova luce sul mistero. «Cold Case Hammarskjoeld» riporta il lavoro di investigatori svedesi e danesi secondo cui l'aereo fu abbattuto da un pilota belga che nel 1961 era stato sospettato ma mai formalmente accusato. Solo adesso è stato scoperto che Jan van Risseghem, questo il suo nome, aveva forti legami con l'Inghilterra: era stato pilota della RAF durante la Seconda guerra mondiale e aveva sposato una inglese. Nel 1961 combatteva da mercenario per i ribelli del Katanga. Fu interrogato ma fornì un alibi e negò ogni coinvolgimento fino alla morte, avvenuta nel 2007.
Il documentario, che tra due settimane sarà presentato al Sundance Festival, riporta ora la testimonianza di un amico di Van Risseghem che afferma che l'ex pilota della RAF ammise di avere abbattuto l'aereo di Hammarskjoeld, e quella di un altro ex pilota che smonta gli alibi forniti dal collega anglo-belga 57 anni fa.
L'intrigo dietro l'assassinio del numero uno dell'Onu, a detta degli stessi produttori del documentario, appare incredibilmente complesso. Ancora oggi la National Security Agency americana mantiene «top secret» le intercettazioni radio relative al disastro del 1961.
E un'inchiesta del quotidiano britannico «Guardian» evidenzia che l'allora ambasciatore Usa in Congo Ed Gullion inviò a Washington un cablogramma segreto- da poco decodificato- in cui indicava «un pilota mercenario belga» come probabile autore dell'abbattimento.
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