Roma Cade il divieto assoluto di selezione degli embrioni senza eccezione: la Corte Costituzionale ha infatti stabilito che non è reato la selezione nei casi in cui sia esclusivamente finalizzata a evitare l'impianto di embrioni affetti da gravi malattie trasmissibili, e nello specifico le patologie rispondenti ai criteri di gravità previsti dalla legge 194 sull'aborto. La sentenza, la 229/2015, depositata ieri, è stata redatta dal giudice Rosario Morelli. La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tribunale di Napoli nell'ambito di un procedimento penale contro un gruppo di medici rinviati a giudizio con l'accusa di realizzare la produzione di embrioni umani con fini diversi da quelli previsti dalla legge 40, effettuando una selezione eugenetica e la soppressione di embrioni affetti da patologie. La Corte Costituzionale aveva già stabilito in una recente sentenza l'illegittimità costituzionale della legge 40 sulla fecondazione assistita nella parte in cui vietava l'accesso alla fecondazione e alla diagnosi pre-impianto alle coppie fertili affette da gravi patologie genetiche - e nello specifico dove sussistano le stesse condizioni che consentono l'aborto terapeutico. Alla luce di questa decisione, contenuto nella sentenza del 2015, «quanto è divenuto così lecito, per effetto» di questa pronuncia, «non può dunque - per il principio di non contraddizione - essere più attratto nella sfera del penalmente rilevante», si legge nella sentenza odierna. La Consulta ha invece dichiarato non fondata la seconda questione di legittimità sollevata dal tribunale di Napoli, e riguardante la sanzione penale prevista per le condotte di «soppressione» di embrioni. Quindi, «il vulnus alla tutela della dignità dell'embrione, ancorché malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione», secondo i giudici «non trova giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista». Questa norma non contrasta, conclude la Consulta, né con il «diritto di autodeterminazione» né con i parametri europei poiché «il divieto di soppressione dell'embrione malformato non comporta l'impianto coattivo nell'utero della gestante». «Non ho mai pensato che fosse un reato scegliere di impiantare nelle donne embrioni sani anziché quelli malati - commenta Andrea Borini della Società italiana di preservazione della fertilità -. La nuova sentenza fa riferimento alla diagnosi pre-impianto con lo scopo di evitare di impiantare un embrione malato che può portare alla nascita di un bambino affetto da una malattia genetica». Di questo l'esperto se ne compiace. «Sono contento che la Consulta - ha sottolineato Borini - ha stabilito che su questa pratica non c'è alcuna deriva eugenetica. Insomma, i giudici hanno bocciato un altro aspetto anticostituzionale della Legge 40». Dal mondo politico le reazioni sono le più varie.
Si va dallo sconcerto di Eugenia Roccella (Area popolare) per una sentenza che «apre all'eugenetica», all'apertura di Laura Puppato (Pd) che avanza la proposta di riscrivere una norma (la legge 40) «quasi del tutto riscritta dalle sentenze della Consulta», fino alla soddisfazione di Fabrizio Cicchitto (Ncd): «A suo tempo - ricorda il deputato - votammo contro quel punto della legge, e oggi la Consulta conferma quel giudizio negativo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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