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Senza i verdiniani e ostaggio della sinistra: al Senato è un governo di minoranza

Il premier paga il no ad Ala di dicembre. Adesso ogni votazione è una lotteria

Senza i verdiniani e ostaggio della sinistra: al Senato è un governo di minoranza

Roma - A pensarci ora per il premier Paolo Gentiloni nello scorso dicembre, all'atto della formazione del governo, sarebbe stato meglio imbarcare il gruppo Ala-Scelta Civica per garantirsi numeri solidi a Palazzo Madama. L'azzardo di allora oggi è costato lo stop allo ius soli e di fatto la certificazione che una maggioranza politica non esiste più. Il gruppo creato nei due rami del Parlamento da Denis Verdini e da Enrico Zanetti, invece, avrebbe potuto fare comodo visto che ha approvato provvedimenti liberal come il divorzio breve e le unioni civili. Soprattutto in Senato dove può contare su 14 elementi.

Ora a Palazzo Madama si ballerà su tutto e la golden share sulla crisi di governo sarà nelle mani dell'opposizione (sia ufficiale che ufficiosa come quella di Mdp) che, di volta in volta, dovrà essere accontentata. Mettendo insieme i numeri di Pd (99 senatori), alfaniani (25), minoranze linguistiche (18) e bersaniani (16) si arriva a 158 unità, tre in meno della maggioranza assoluta di 161 a Palazzo Madama. Un incidente di percorso può sempre accadere anche se, in primo luogo, raramente i senatori sono tutti presenti e la maggioranza può perciò serrare i ranghi e, in seconda battuta, non sono rari i casi in cui giunge un «soccorso» da parte dei gruppi meno ostili come la stessa Ala-Sc o Gal.

Sarebbe bastato garantire loro qualche strapuntino per garantirsi altri sei mesi di navigazione serena. Il mistero sul perché dell'esclusione-choc resta fino a oggi. In un'intervista al Corriere del 20 giugno scorso fu lo stesso Verdini a incolpare Renzi della sua esclusione affermando che Matteo «voleva un governo fragile», speranzoso com'era di andare alle elezioni quanto prima (frase smentita ma verosimile). Questa versione non trova, però, riscontri in Avanti, il nuovo libro dell'ex premier, ove Verdini viene citato poco e nulla e, in particolare, non viene nemmeno ringraziato per il lavoro svolto. Senza lui, però, il governo Renzi avrebbe fatto la stessa fine di quello Gentiloni. Tant'è vero che l'attuale presidente del Consiglio aveva riservato ad Ala-Sc la Farnesina, all'ultimo momento assegnata ad Angelino Alfano.

Resta da capire, però, perché un esecutivo che a Palazzo Madama potrebbe contare su un pacchetto di voti oscillante tra 170 e 177 (quando tutti i verdiniani sono di buonumore) si sia ridotto in queste condizioni. La causa principale è stata la «grande fuga» da Area Popolare che ha perso qualche unità in virtù della nascita della Federazione della Libertà di Quagliariello e Augello. Smottamenti che sono destinati a proseguire e che Verdini aveva preconizzato il mese scorso accennando a «un nuovo soggetto nel quale sciogliersi». A ben guardare quell'intervista, che rimane l'ultima esternazione ufficiale dell'ex plenipotenziario berlusconiano, è stata profetica anche per Ala, in procinto di scomparire visto il clima da «si salvi chi può» che si respira in Senato. Solo il senso di responsabilità del Cav ha finora evitato lo smottamento della maggioranza (anche perché non tutti i «cavalli di ritorno» sarebbero candidati).

Senza il tanto vituperato Denis in questo Senato non ci sono maggioranze, ma soprattutto il Pd di Renzi e Gentiloni è condannato a restare ostaggio della sinistra massimalista.

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