Il governo di riconciliazione libico spalleggiato dalla comunità internazionale e in primo luogo dall'Italia è sbarcato a Tripoli, ma la scorsa notte sarebbe già stato attaccato. Il capo del Consiglio presidenziale libico, Fayez al-Serraj, ha già annunciato «l'entrata in carica» e si è appellato ai libici per «unire gli sforzi contro Daesh (lo Stato islamico, ndr)», ma l'esecutivo islamista tripolino lo ha dichiarato illegittimo e invitato a consegnarsi o a dandarsene.
Il rischio è che il terzo esecutivo del caos libico avversato dal governo di Tripoli e mai votato dal Parlamento di Tobruk, alleato dell'Occidente, sia incapace di esercitare il suo potere al di fuori della base navale dove è sbarcato o scateni una nuova fiammata di scontri.Lo sbarco è riuscito grazie ad un fiume di soldi, che hanno convinto quello che resta della Marina libica ed alcune milizie chiave della capitale a schierarsi con il premier voluto dall'Onu. Secondo fonti militari «non è escluso che siano stati coinvolti» i corpi speciali inglesi e americani arrivati un mese fa a Tripoli per combattere lo Stato islamico. Un'ardita mossa in avanti voluta da Washington in vista dell'arrivo nella capitale americana del premier italiano Matteo Renzi il primo aprile. Ufficialmente la Marina non è stata coinvolta, anche se le nostre unità sono al limite delle acque territoriali libiche. I corpi speciali o il personale paramilitare dei servizi potrebbero, però, aver favorito l'arrivo del governo di riconciliazione nazionale.L'impresa non era facile. Ieri le milizie islamiche fedeli all'esecutivodi Khalifa Ghwel insediato a Tripoli hanno sparato colpi di contraerea di avvertimento sopra l'aeroporto Mittiga proprio per evitare che atterrasse un aereo con il nuovo governo libico.
Per questo motivo Serraj è sbarcato dal mare con due unità da guerra salpate dalla Tunisia e approdate nella base navale di Abu Seta nel porto della capitale. In pratica la Marina libica si è schierata con il nuovo esecutivo, ma non bastava. «Tutti hanno un kalashnikov a Tripoli. Combattimenti ci saranno, ma alla fine si metteranno d'accordo. Di mezzo ci sono calcoli politici e tanti soldi in ballo, che hanno comprato la lealtà di importanti milizie», spiega una fonte del Giornale in Libia. Il grosso dei combattenti di Misurata, la città-Stato ad est della capitale, si è schierato per primo con il nuovo esecutivo. Salah Badi, pero, pure lui di Misurata avrebbe già cominciato ad attaccare il nuovo governo con i sui uomini. L'appoggio a Serraj sarebbe garantito da Abdel Aruf Qara, capo di una delle milizie più forti nella capitale, che funge da polizia. Barbone islamico, è un veterano della guerra in Afghanistan. Abdelhakim Belhadj, leader militare islamista, ex al Qaida, che ha fondato il partito Al Watan, starebbe alla finestra per vedere chi vince. Di recente era a Roma per un incontro fra leader libici organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio.Al contrario il deputato del parlamento di Tripoli legato ai Fratelli musulmani, Abdel Qader Hawili, ha annunciato di essere pronto ad accogliere «con le armi l'arrivo del governo di riconciliazione nazionale» e di «arrestare tutti i suoi componenti».
Al suo fianco ci sono le milizie di Tagiura, sobborgo rivoluzionario, e la brigata Abu Slim, nel quartiere della capitale dove si trovava il famigerato carcere di Gheddafi.«Nessuna forza straniera ha partecipato all'operazione di rientro a Tripoli dei membri dell'esecutivo» ha dichiarato il colonnello al-Tawil. Serraj promette di lavorare «per unire le istituzioni dello Stato libico e per l'attuazione di un pacchetto di misure urgenti volto ad alleviare le sofferenze dei cittadini in materia di sicurezza ed economia». L'inviato dell'Onu per la Libia, Martin Kobler, ha lanciato l'appello per un «urgente, pacifico e ordinato passaggio dei poteri». Renzi dagli Stati Uniti ha aggiunto: «Ci auguriamo che il governo Sarraj possa ora lavorare nell'interesse della Libia».
Nella serata di ieri le milizie avverse avevano già cominciato a sparare nelle strade di Tripoli. Il nuovo governo può chiedere l'appoggio militare all'Onu. E l'Italia dovrà mandare cinquemila uomini, già previsti, in prima linea.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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