Come si batte il Covid 19? Test, test e ancora test. È questa la risposta più efficace contro la diffusione del Sars Cov 2. Anche Francesco Vaia, direttore sanitario dell'Istituto nazionale malattie infettive Lazzaro Spallanzani, come altri esperti virologi ed epidemiologi, è convinto che quella contro il coronavirus sia una guerriglia che va combattuta a macchia di leopardo anticipando lo schema di conquista dell'agente patogeno. I numeri e i dati positivi che arrivano dallo Spallanzani inducono a un cauto ottimismo. Vaia rassicura, «da questa malattia si guarisce» ma dall'altro ammonisce, «è necessaria una risposta di sistema: sanità pubblica e comportamenti dei cittadini».
Professor Vaia quali test ritiene più affidabili?
«Abbiamo molti test rapidi in circolazione, poi c'è il tampone e infine l'esame sierologico. Noi per ottenere un risultato certo li usiamo tutti e tre. Il test rapido che abbiamo messo a punto e che garantisce una maggiore sicurezza usa una macchina che in pochi minuti ci offre la determinazione anticorpale, verifica la positività. Poi c'è il tampone nasofaringeo che è più attendibile ma neppure questo dà una risposta certa al cento per cento. Infine l'analisi del siero, più complessa, che garantisce una risposta completa ovvero sia l'eventuale positività sia la presenza del titolo anticorpale e la sua intensità: se alta siamo ancora in una fase iniziale della malattia se bassa vuol dire che siamo in remissione».
Perché è così importante l'analisi sierologica?
«Se troviamo gli anticorpi in un soggetto che è anche risultato allo stesso tempo negativo vuole dire che è immune, che è a posto, si è negativizzato e dunque allo stato delle nostre conoscenze non corre più il rischio di contrarre la malattia. Questo risultato, se estendessimo l'indagine in corso nel Lazio su tutto il territorio, potrebbe costituire una svolta per la ripresa delle attività».
Come si articola lo studio?
«Noi partiamo sempre da quello che ci dicono i dati. La diffusione del coronavirus nell'area metropolitana di Roma non è capillare. Abbiamo invece alcuni focolai, cluster molto attivi anche nella cintura intorno alla capitale: Fondi, Nerola, Rieti. Dobbiamo aggredire il virus sul territorio. Dunque da due giorni con il mio coordinamento è partita un'indagine con valenza regionale che si avvale della collaborazione dei medici di famiglia e dei presidi sanitari. Procediamo in parallelo con l'osservazione diagnostica ed epidemiologica tesa ad individuare i positivi asintomatici e gli eventuali immunizzati. Attendo una determinazione nazionale per ottener la validazione del modello si studio e degli strumenti che stiamo usando».
Avete ipotizzato cure domiciliari anche per i positivi con sintomi importanti?
«Se otterremo il via libera dall'Aifa l'ipotesi è quella di somministrare i farmaci già testati all'interno dell'ospedale anche in casa, in modo da evitare il sovraffollamento degli ospedali. Nei primissimi casi affrontati, la coppia di cinesi che era arrivata in condizioni critiche, abbiamo messo a punto un trattamento a base di antivirali normalmente impiegati per l'Hiv ed Ebola che si è rivelato efficace e infatti i cinesi sono guariti».
Che cosa ha funzionato nel modello Spallanzani?
«Dobbiamo prima di tutto riconoscere che noi siamo arrivati a valle di un fenomeno che invece al Nord si era già diffuso.
Qui tutto procede più lentamente e abbiamo avuto il tempo di organizzarci, in effetti siamo in controtendenza. Ma proprio per questo non dobbiamo assolutamente abbassare la guardia: tutti dobbiamo rispettare le misure di contenimento proprio perché l'epidemia sta rallentando».
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