C'è una lezione americana che si è dimostrata infallibile. Gli elettori votano con le tasche. È il primato dell'economia sulle fole ideologiche. L'economia giudica il governo. Non ci sono promesse che tengano: se c'è democrazia e non si vota in clima golpistico, e non si schierano le cannoniere tedesche e anglosassoni a bombardare i titoli di Stato, vince chi ha fatto star meglio la gente.
Per questo a ottobre Renzi se ne va. È perfettamente consapevole di aver sbagliato a personalizzare il referendum sulla riforma costituzionale. Ha voluto un'ordalia su se stesso, dove si gioca tutto. E allora decideranno le tasche. Sia chiaro: riuscisse anche a convincere la gente a valutare il merito dei 48 articoli cambiati, non gli andrebbe meglio. Il «Sì» di ottobre è su tutto il renzismo. Non è che è malata soltanto l'economia italiana, e invece le altre riforme sono belle come dice lui: c'è un virus renziano che sta trascinando l'Italia nel lazzaretto degli Stati a sovranità ormai terminale. Contro questa deriva è necessario ricorrere al vaccino del «No».
Ho detto che il fattore E (come economia) è quello su cui cadrà Renzi. E che questo ci insegnano gli Usa. Le tasche americane a differenza di quelle italiane, meno attaccate ai dati finanziari e più al reddito sono sensibili ai numeri della Borsa. Se il listino sale, ascendono anche le quotazioni del presidente in carica che si ripresenta o del candidato del suo partito. Altrimenti non ci sono slogan indovinati o scandali rivelati: aiutano, ma non sono determinanti. La camicia sudata di Nixon e la sua faccia malrasata contro il colletto perfettamente inamidato e le gote fresche di Kennedy, il quale avrebbe vinto per questo, sono un mito trionfale, che, a proposito di tasche, ha riempito quelle degli esperti di campagne elettorali arrivati in Italia a sostenere questo o quello, come se gli elettori fossero madamine sensibili al fascino del golf giusto. Conta anche questo, ovvio. Ma le finzioni non vincono mai alla prova delle tasche. Non è cinismo, c'è anzi giustizia in questa legge americana. Se le cose vanno male nel bilancio delle famiglie, se si sta peggio, è giusto che chi governa se ne vada.
Ora in Italia siamo in una situazione assolutamente anomala. Per questo il referendum di ottobre è importantissimo. Renzi non ha vinto grazie alla prova del fare, ma si è insediato al governo in forza dell'arte di parlare e di manipolare le votazioni di un club privato. Dopo di che, arrivato lui, siamo stati peggio, specie il ceto medio. Renzi che è un pessimo premier ma un abile demagogo quale strategia sta adottando? Non quella di far star meglio gli italiani, ma di comprarsi fasce marginali decisive con mance elettorali, alla Achille Lauro. Da qui la sua promessa di far chiudere Equitalia, come Berlusconi, Forza Italia e tutto il centrodestra hanno chiesto sin dal programma del 2013, e di abbassare le tasse per il ceto medio, tagliando le aliquote Irpef. Dice di voler impiegare i 14 miliardi ottenuti con la flessibilità di Bruxelles per questo. Ed è una bugia colossale ma deve per forza dir così, se vuole sfangarsela a ottobre, e poi puntare ad elezioni di corsa per consacrarsi come ducetto.
Federico Fubini, giovedì scorso, ha proposto un intelligente commento sul Corriere della Sera. Ha ragionato all'americana. Nel momento in cui si dovrà votare sulla riforma - anzi «schiforma», scusate la crasi - cioè il 16 ottobre, il governo avrà appena inviato a Bruxelles una proposta approvata di legge di Stabilità. E sarà una manovra attraverso la quale non potrà elargire, ma anzi dovrà tagliare. Per evitare che scattino le clausole di salvaguardia, con l'aumento dell'Iva e la crescita delle accise su benzina, ecc, dovrà impostare una legge di Stabilità sanguinosa. Fubini dice: da 10 miliardi. Magari. Sarà tre o quattro volte superiore, se vorrà mantenere i patti con Bruxelles.
Dunque se vuole vincere al referendum «o Renzi anticipa il referendum di almeno una o due settimane, oppure decide di sfidare ancora una volta la Commissione Ue e rischiare la stessa sanzione sui conti che proprio ieri ha faticosamente scongiurato». Insomma: un imbroglio. Renzi invoca la possibilità di non essere soffocato dall'austerità, di espandere il deficit, di spendere di più. Qualche sprovveduto, o in cattiva fede, mi accusa di cadere in contraddizione. Poiché sarei contemporaneamente avverso al rigore cieco teutonico e a chi, come Renzi, vuol rompere i parametri imposti da Schauble. La questione è semplice. Renzi vuole la flessibilità non per guarire l'Italia ma per rimpinguare il suo bottino elettorale. Vuole fare omaggi a qualche categoria, limare qualche tassa per ingraziarsi il ceto medio. Ma in questo modo scava la fossa a tutti noi.
Tagliare le tasse in deficit è disastroso. Non è un'opinione. Ma è una delle più solide certezze dell'economia come scienza. Trattasi del teorema di Ricardo, che non è il «Riccardo che da solo gioca a bigliardo» della bellissima canzone di Gaber, come crede Renzi, ma è stato un genio. Non si possono togliere tasse senza tagliare le cattive spese. È matematico. Perché serviranno poi altre tasse per sistemare il bilancio. Se non lo fai adesso, lo dovrai fare prima o poi. E questa legge è percepita dal popolo che non è stupido, e ragiona sempre paragonando i conti dello Stato con quelli di famiglia. Per cui la gente, davanti a una riduzione della pressione fiscale mentre vede perdurare gli stessi sprechi, che cosa fa? Non consuma, non spende, risparmia in attesa del conto salato. Allo stesso modo, le imprese non investono: è come trasportare il proprio carico su una nave (lo Stato) che fa acqua, e allora non si investe, sicuri come si è che prima o poi i debiti si dovranno saldare con nuove tasse. Se si vuol andare alla sorgente teorica di questa tesi, si riprendano in mano, appunto, i libri del grande David Ricardo (1772-1823).
Per questo la manovra in deficit è una partita di giro, anzi di raggiro. Un inganno perpetrato ai danni dei nostri figli. Renzi carica di tasse il futuro, e non genera nulla nel presente. Un inganno doppio. Peggio dell'aumento dichiarato delle tasse, perché qui in più nasconde la verità. Meglio il teorico del salasso dei cittadini, il celebre e vecchio Visco. Meglio Padoa-Schioppa che aveva il coraggio di dire che le «tasse sono belle». Vedremo se proverà a giocare la partita mortale fingendo di dichiarare guerra all'Europa per guadagnare consenso. Bisogna prepararsi a non cadere in trappola, impedendo che passi la linea «in fondo queste riforme le voleva anche Berlusconi». È una balla. Dopo di che torna da ogni parte la tiritera sulla scarsa eleganza del fronte del «No». Claudio Cerasa, direttore del Foglio, ne ha fatto la sua bandiera politica, accusando la variegata coalizione del «No» di essere un'Armata Brancaleone. Siamo alla logica amatissima dalle sinistre televisive antiberlusconiane, e contro cui il Foglio combatté epiche battaglie, degli «impresentabili». Ci fu, nel 1947, un fronte costituzionale che raccolse da De Gasperi filo-americano e cattolico a Togliatti-Nenni stalinisti. Poi, quattro mesi e un giorno dopo quel 17 dicembre 1947, vale a dire il famoso 18 aprile 1948, si batterono all'ultimo sangue l'un contro l'altro. Idem adesso. C'è un fronte per impedire la prevalenza di una pessima Costituzione. Non faccio l'esame del sangue dei miei compagni di battaglia. Un nemico, anzi un avversario alla volta, per carità.
Cerasa contrappone agli straccioni di Brancaleone, la luminosa schiera elfica dei sostenitori del «Sì». Chi ci mette? De Benedetti, Sergio Marchionne, Angela Merkel, i banchieri che vogliono far restare il Corriere della Sera nelle solite mani, la Fiat, i direttori di Repubblica e Stampa, Confindustria al completo, Caltagirone, Tronchetti Provera. Eccetera. Che catalogo di benefattori del popolo è? Ne riconoscete uno? I primi due, De Benedetti e Marchionne, hanno preferito versare le tasse in Svizzera, non credo a causa di una predilezione per il cioccolato. I banchieri italiani, in specie intorno a Mediobanca, sono noti più per aver garantito espropriazioni di tesori pubblici a vantaggio dei soliti noti foraggiati con soldi dello Stato. Tronchetti ha venduto la Pirelli ai cinesi. Qualcuno di costoro ha mai difeso qualcosa di diverso dalle proprie tasche?
E qui siamo alla legge americana del voto. Signori del popolo bue, straccioni di Valmy, imparate da questi ottimati della grana: si vota a seconda delle tasche. E non ci meraviglia affatto che i poteri marci (e non è un giudizio sulle persone, sia chiaro) difendano chi promette di salvaguardarne l'egemonia finanziaria e il portafoglio a costo di consacrare un ducetto (Piero Ostellino dixit, il meglio del pensiero liberale italiano) che li tuteli.
Sono troppo duro? Forse, è che quella del referendum è la madre di tutte le battaglie democratiche. Se vinciamo cambia tutto. Sul serio. Eviteremo chissà quanti anni di dominio renzian-debenedettiano.Buona domenica di pace e di lotta.
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