Sicurezza e call center. Così Renzi prepara le urne

Il leader Pd sconfessa i suoi su legittima difesa e telemarketing: troppi errori, meglio le elezioni

Sicurezza e call center. Così Renzi prepara le urne

«Non è pensabile andare avanti così per altri dodici mesi». Prima la denuncia del «pasticcio» sulla legittima difesa, poi quella dell'«errore» sul telemarketing nel ddl Concorrenza: da giovedì notte Matteo Renzi è in assetto da combattimento. O, per meglio dire, da campagna elettorale, più di lotta che di governo.

L'improvviso affondo del leader Pd contro la legge sulla legittima difesa che la maggioranza, con molta sofferenza, aveva appena varato alla Camera ha disorientato i suoi e alimentato il sospetto, dentro e fuori la coalizione di governo, che Renzi stia di nuovo puntando ad una fine anticipata della legislatura. Del resto quel «non si può continuare un anno in questo modo confuso, non la reggiamo», ripetuto in varie occasioni ai suoi, sembra confermare che il neo-confermato segretario Pd auspichi un chiarimento elettorale al più presto. Così come la mossa «securitaria» - che punta al voto moderato - sulla legittima difesa: Renzi ha fortemente voluto l'accelerazione del provvedimento, fermo da mesi a Montecitorio, ma l'approvazione non ha avuto l'effetto sperato. Anzi, subito si sono scatenate le polemiche, più o meno strumentali, su quel passaggio farraginoso del testo in cui si evoca il «tempo di notte». Tecnicamente, non esclude affatto il diritto alla difesa anche di giorno (tanto che il contestato articolo è stato votato anche da parte del centrodestra) ma mediaticamente ha suscitato solo confuse proteste. Accortosi dell'effetto boomerang, Renzi non ha esitato un attimo a smentire i suoi, chiedendo a gran voce di «correggere il testo nella parte meno chiara e logica», quindi indurendolo, nel futuro passaggio al Senato. Come però non è chiaro, visto che a Palazzo Madama gli scissionisti bersaniani sono contrari alla legge e i numeri sono precari. L'unica strada sarebbe ottenere il via libera di Forza Italia, dividendola dalla Lega, ma la difficoltà è evidente. Ieri poi è arrivato il secondo colpo renziano, contro il ddl Concorrenza nel quale, grazie ad un emendamento dei Cinque Stelle, c'è una norma che apre le porte al telemarketing selvaggio: «Un errore, va verificato».

Al di là del merito delle singole questioni, appare evidente che Renzi, appena rilegittimato dal successo delle primarie, si sta convincendo che non si può galleggiare ancora a lungo nella «palude» post-referendum. Mandando i propri auguri a Macron, confessa «invidia» per quel «sistema semplice che in Francia, col ballottaggio, dà l'ultima parola ai cittadini». Cosa negata all'Italia dopo il 4 dicembre.

Ma anche nell'esecutivo più d'uno la pensa come lui: «Renzi dovrebbe accelerare sulla legge elettorale - spiega un esponente di governo Pd, di quelli che fino a qualche mese fa tifavano per il 2018 - sfidando gli altri partiti su un sistema che garantisca governabilità. Se il suo tentativo viene respinto, proponga un decretino per omogeneizzare le leggi attuali di Camera e Senato e si vada al voto ad ottobre». E la legge di stabilità, su cui Mattarella chiede certezze? «Si può fare come in Germania, dove la approveranno dopo il voto. Nel 2016 ci si è messo solo un mese», è la risposta. Il voto ad ottobre, sull'onda - si spera - del successo dell'amico Macron in Francia e delle elezioni tedesche, può mettere in difficoltà l'ondata populista.

Non a caso i Cinque stelle non lo vogliono, mentre in Forza Italia si aprono spiragli: «Renzi non ci darà mai il premio di coalizione - ragionava giorni fa a Montecitorio l'azzurra Nunzia Di Girolamo con alcuni colleghi di partito - ma può comunque convenirci fare una legge elettorale decente con lui ed evitare di trascinare per le lunghe la legislatura: è controproducente anche per noi».

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